Sheemie fece altrettanto.

Jake abbassò lo sguardo su Roland e domandò: «Che cosa vuoi?»

Roland non rispose, continuando invece a contemplare sereno l'imboccatura della grotta, come se ci fosse qualcosa che attirava il suo interesse. E Jake sapeva che cosa voleva, quasi che avesse fatto ricorso al tocco per indagare nella mente di Roland (e sicuramente non era così). Erano arrivati a un bivio. Era stato Jake a suggerire che fosse Sheemie a indicare loro da che parte andare. Lì per lì gli era sembrata un'ottima idea, per quanto stramba. Chissà perché. Ora, davanti a quel volto stanco, premuroso ma non molto intelligente, e quegli occhi iniettati di sangue, Jake si pose due interrogativi: che cosa mai gli aveva preso da proporre una simile iniziativa, e perché qualcuno, per esempio Eddie, che a dispetto di tutto quello che avevano passato aveva mantenuto i piedi saldamente a contatto del terreno, non gli aveva detto, con cortesia ma anche con fermezza, che mettere il loro futuro nelle mani di Sheemie Ruiz era imbecillaggine. Un'assoluta cavoiata, come avrebbero detto i suoi vecchi compagni alla Piper. Adesso Roland, che credeva che persino all'ombra della morta ci fossero lezioni da apprendere, voleva che Jake formulasse la domanda che lui stesso si era posto e la risposta lo avrebbe senza dubbio smascherato per quello scombinato superstizioso che ormai era. D'altra parte, perché non chiedere? Anche se era l'equivalente del lancio di una moneta, perché non farlo? Jake era giunto, forse al termine di una vita breve ma senza dubbio interessante, in un luogo dove c'erano porte magiche, maggiordomi meccanici, telepatia (di cui era dotato lui stesso, seppure forse in grado ridotto), vampiri e ragnantropi. Dunque perché non lasciar scegliere a Sheemie? In fondo da una parte o dall'altra dovevano pur andare lui ne aveva passate troppe per preoccuparsi di una sciocchezza come quella di passare da idiota al cospetto dei compagni. E poi, pensò, se non sono tra amici qui, non lo sarò mai.

«Sheemie», disse. Guardare in quegli occhi sanguinanti era orribile, ma si costrinse a farlo. «Noi siamo impegnati in una ricerca. Questo significa che abbiamo un lavoro da svolgere. Noi...»

«Voi dovete salvare la Torre», lo precedette Sheemie. «E il mio vecchio amico dovrà entrare e salire fino in cima e vedere che cosa c'è. Potrà esserci una rinascita, potrà esserci la morte, potranno esserci entrambe. Lui una volta era Will Dearborn, aye, orsì. Will Dearborn per me.»

Jake guardò Roland, che era ancora accosciato con gli occhi rivolti all'ingresso della grotta. Ma ebbe l'impressione che fosse impallidito e che avesse assunto un'espressione strana.

Una delle dita di Roland ruotò nel solito gesto di incitamento.

«Sì, dovremmo salvare la Torre Nera», confermò Jake. E pensava di capire almeno in parte la brama di Roland di vederla ed entrarci, a costo della vita. Che cosa c'era al centro dell'universo? Quale uomo (o ragazzo) poteva evitare di fare ipotesi, una volta che si fosse posto un tale interrogativo, e desiderare di vedere con i propri occhi?

Anche se guardare lo avesse fatto impazzire...

«Ma per poter compiere questa missione, abbiamo due cose da fare. La prima è tornare nel nostro mondo e salvare un uomo. Uno scrittore che sta raccontando la nostra storia. L'altra è quella di cui abbiamo parlato. Liberare i Frangitori.» L'onestà lo spinse ad aggiungere: «O almeno fermarli. Capisci?»

Ma questa volta Sheemie non rispose. Stava guardando dove guardava Roland, fuori, nell'oscurità. La sua era l'espressione di una persona ipnotizzata. Guardarlo in faccia metteva a disagio Jake, che resistette comunque. Era finalmente giunto al momento in cui doveva formulare la sua domanda e che alternative aveva se non andare avanti?

«La questione è, che cosa dobbiamo fare per prima? Salvare lo scrittore sembrerebbe più facile perché non abbiamo da affrontare degli avversari... almeno non ci risulta... ma c'è la possibilità che... be'...» Ma c'è la possibilità che teletrasportare noi costi la vita a te, era quello che Jake aveva in mente ma non aveva voglia di dire, da cui quell'interruzione pavida e insoddisfacente.

Lì per lì sembrò che Sheemie non intendesse rispondergli, che l'avrebbe lasciato da solo a decidere se riprovarci o no, ma dopo una lunga pausa parlò. Non guardò nessuno di loro mentre rispondeva, rimanendo invece rivolto all'imboccatura della grotta, con gli occhi fissi nell'oscurità di Rombo di Tuono.

«La scorsa notte ho fatto un sogno», esordì Sheemie di Mejis, la cui vita era stata salvata un tempo da tre giovani pistoleri di Gilead. «Ho sognato che ero di nuovo al Riposo dei Viaggiatori, anche se non c'era Coral, e nemmeno c'erano Stanley e Pettie e Sheb, quello che suonava il piano. Non c'era nessuno oltre a me e io stavo lavando il pavimento e cantavo Careless Love.

Poi i battenti della porta cigolano, oh sì, facevano sempre questo rumore buffo...»

Jake vide che Roland stava annuendo con un'ombra di sorriso sulle labbra.

«Alzo gli occhi», riprese Sheemie, «e vedo entrare questo ragazzino.» I suoi occhi si spostarono per un attimo su Jake, poi tornarono all'ingresso della caverna. «Somiglia a te, giovin sai, orsì, abbastanza da poter essere un gemello. Ma ha la faccia coperta di sangue ed è orribilmente sfigurato perché gli manca un occhio, e cammina tutto storto, zoppicando. Sembra la morte, di grazia, e mi spaventa terribilmente e vederlo mi rende anche molto triste. Io continuo a lavare per terra, perché penso che se faccio così magari non bada a me, magari neanche mi vede e se ne va.»

Jake si rese conto di conoscere quella storia. L'aveva vista? Aveva veramente visto quel ragazzo sporco di sangue?

«Ma lui ti guarda...» mormorò Roland sempre accovacciato, sempre con lo sguardo perso nel buio.

«Aye, Will Dearborn che fu, proprio me guarda, orsì, e dice: 'Perché mi tormentate? E io che vi amo tanto! Altro non potrei né vorrei, perché amore mi fece e mi nutrì e...'»

«...'ebbe cura di me in migliori giorni miei'», sussurrò Eddie. Una lacrima gli cadde dall'occhio e disegnò un circoletto scuro sul fondo della grotta.

«'... ebbe cura di me in migliori giorni miei. Perché volete ferirmi e sfigurarmi il volto e riempirmi di dolore? Io vi ho solo amato per la vostra bellezza come voi una volta avete amato me per la mia, nei giorni prima che il mondo andasse avanti. Ora voi mi graffiate con le unghie e mi versate bruciante argento vivo nelle nari. Mi avete scatenato contro i bruti, orsì, che mi hanno divorato le tenere carni. Intorno a me si raccolgono i can-toi e le loro risa non mi danno pace. Eppure io vi amo lo stesso e vi sarei servitore e riporterei anche la magia, se me lo permetteste, perché così è stato forgiato il mio cuore quando sono emerso dal Prim. E una volta oltre che bello ero anche forte, ma ora le mie forze si sono quasi esaurite.'»

«Hai pianto», intervenne Susannah e Jake pensò: per forza. Stava piangendo lui stesso. E anche Ted. E anche Dinky Earnshaw. Solo Roland aveva gli occhi asciutti e Roland era pallido, così pallido.

«Piange», riprese Sheemie (le lacrime gli rotolavano per le guance mentre raccontava il suo sogno), «e piango anch'io, perché vedo che era stato bello come un angelo. 'Se la tortura fosse sospesa ora', mi dice, 'potrei ancora riprendere... se non il mio aspetto, almeno le forze...'»

«'E il mio kes'», mormorò Jake e, sebbene non avesse mai sentito prima quella parola, la pronunciò nel modo giusto: kiss.

«'...e il mio kes. Ma ancora una settimana... o forse cinque giorni... o anche tre... e sarà troppo tardi. Anche se la tortura finirà, io morirò. E morirai anche tu, perché quando l'amore lascia il mondo, tutti i cuori si fermano. Di' loro del mio amore e di' loro del mio dolore e di' loro della mia speranza, che ancora vive. Perché è tutto quello che ho ed è tutto ciò che sono ed è tutto ciò che chiedo.' Poi il ragazzo si gira ed esce. I battenti fanno il loro rumore. Scrii-iik.»

A questo puntò guardò Jake e sorrise come ridestandosi in quel momento. «Non so rispondere alla tua domanda, sai.» Si batté il pugno sulla fronte. «Non ho molta materia grigia quassù, io... solo ragnatele. Così diceva Cordelia Delgado e mi sa che aveva ragione.»

Jake tacque. Era stordito. Aveva sognato lo stesso ragazzo sfigurato, ma non in un saloon; era stato al Gage Park, quello dove avevano visto Charlie Ciu-ciu. La notte scorsa. Non poteva essere altrimenti. Solo ora se ne rammentava, probabilmente il ricordo non sarebbe mai riaffiorato se Sheemie non avesse raccontato il proprio sogno. E Roland, Eddie e Susannah avevano tutti fatto lo stesso sogno in una o un'altra versione? Sì. Glielo leggeva in faccia, come d'altra parte vedeva che Ted e Dinky erano commossi, ma anche confusi.

Roland si rialzò con un smorfia, si strinse per un attimo l'anca, poi disse: «Grazie-sai, Sheemie, ci sei stato di grande aiuto».

Sheemie gli rispose con un sorriso titubante. «In che modo mai?»

«Non ci pensare, mio caro.» Roland si rivolse a Ted. «Io e i miei amici usciamo per un momento. Dobbiamo parlarci an-tet.»

«Naturalmente», disse Ted. Scosse la testa come per schiarirsela.

«Si venga incontro alla pace del mio animo, per favore, e vediamo di essere brevi», ammonì Dinky. «Probabilmente va ancora tutto bene, ma non è il caso di sfidare la sfortuna.»

«Avrete bisogno di lui per tornare indietro?» chiese Eddie indicando Sheemie con un cenno del capo. Era pressoché una domanda retorica: in quale altro modo i tre visitatori sarebbero potuti rientrare al campo?

«Be', sì, ma...» cominciò Dinky.

«Allora la fortuna la sfidate eccome.» Detto questo, Eddie Susannah e Jake seguirono Roland fuori della caverna. Oy rimase seduto vicino al suo nuovo amico, Haylis di Chayvin. Una circostanza che turbò Jake. Non era tanto gelosia, ma piuttosto timore. Come se ci avesse visto un presagio che avrebbe potuto interpretare solo uno più saggio di lui, magari un Manni. Ma avrebbe voluto saperlo? Forse no.

 

6

 

«Non ho ricordato il mio sogno finché non ci ha raccontato il suo», dichiarò Susannah. «E se non ce ne avesse parlato, con tutta probabilità non mi sarebbe mai tornato in mente.»

«Infatti», disse Jake.

«Ma adesso lo ricordo abbastanza chiaramente», seguitò lei. «Ero in una stazione della metropolitana e il ragazzino è venuto giù dalle scale...»

«Io ero al Gage Park...» mormorò Jake.

«E io ero al campo giochi di Markey Avenue, dove io e Henry andavamo a esercitarci nelle marcature a uomo», rivelò Eddie. «Nel mio sogno il bambino con la faccia insanguinata indossava una T-shirt con la scritta MAI UN MOMENTO MORTO...»

«...NEL MEDIO-MONDO», finì Jake e Eddie sussultò.

Jake non se ne accorse; i suoi pensieri erano proseguiti in un'altra direzione. «Chissà se Stephen King usa mai i sogni in quello che scrive. Sapete, come lievito per far montare la trama.»

Era una domanda a cui nessuno di loro poteva rispondere.

«Roland, dov'eri tu nel tuo sogno?» volle sapere Eddie.

«Al Riposo dei Viaggiatori, giustamente. Non ero lì con Sheemie in un lontano passato?» Con i miei amici, ormai scomparsi, avrebbe potuto aggiungere, ma non lo fece. «Ero seduto al tavolo preferito di Eldred Jonas a giocare a Guardami.»

«Il bambino del sogno era il Vettore, vero?» domandò a bassa voce Susannah.

Mentre Roland annuiva, Jake capì che alla fine Sheemie aveva indicato loro azione dovevano intraprendere per prima. Glielo aveva rivelato al di là di ogni dubbio.

«Domande?» chiese Roland ai compagni.

A uno a uno, scossero tutti la testa.

«Noi siamo ka-tet», disse Roland e gli altri risposero all'unisono: «Noi siamo uno da molti».

Roland indugiò ancora qualche istante guardandoli - più che guardarli, sembrava assaporare le loro espressioni - poi rientrò con loro.

«Sheemie», chiamò.

«Sì, sai! Sì, Roland, Will Dearborn che fu!»

«Salveremo il bambino di cui ci hai raccontato. Fermeremo i cattivi che gli stanno facendo del male.»

Sheemie sorrise, ma era un sorriso pieno di turbamento. Non ricordava il ragazzino del sogno, non più. «Bene, sai, benissimo!»

Roland si rivolse a Ted. «Questa volta, quando Sheemie vi riporta indietro, mettetelo a letto. O, se questo dovesse attirare attenzione da parte delle persone sbagliate, fate almeno in modo che riposi.»

«Possiamo fargli marcare visita per un raffreddore e tenerlo lontano dallo Studio», rispose Ted. «Il raffreddore è un malanno comune a Rombo di Tuono. Ma voi dovete capire che non abbiamo garanzie. Potrebbe riportarci dentro questa volta e poi...» Schioccò le dita.

Ridendo, Sheemie lo imitò, solo che schioccò le dita di entrambe le mani. Susannah girò la testa dall'altra parte, nauseata.

«Lo so», disse Roland e sebbene il tono della sua voce non fosse cambiato di molto, tutti i membri del suo ka-tet capirono che sarebbe stato meglio per tutti se quel conciliabolo si fosse chiuso al più presto. Roland era ai limiti della sua pazienza. «Fatelo riposare anche se sta bene e non sente niente di strano. Non avremo bisogno di lui per quello che ho in mente anche grazie alle armi che ci avete lasciato.»

«Sono armi buone», confermò Ted, «ma saranno abbastanza buone da spazzar via sessanta avversari tra uomini, can-toi e taheen?»

«Voi due sarete con noi quando avrà inizio la battaglia?» lo interrogò Roland.

«Con immenso piacere», affermò Dinky, mostrando i denti in un ghigno di indicibile malvagità.

«Sì», disse Ted. «E può darsi che io abbia un'altra arma ancora. Avete ascoltato i nastri che vi ho lasciato?»

«Sì», rispose Jake.

«Dunque conoscete l'episodio del furto del mio portafogli.»

Questa volta annuirono tutti.

«E quella giovane donna?» domandò Susannah. «Tosta, avevi detto. Quella Tanya e il suo fidanzato? O suo marito, se lo è diventato?»

Ted e Dinky si scambiarono una breve occhiata dubbiosa, poi scossero insieme la testa.

«Una volta, forse», rispose Ted. «Non ora. Ora è sposata. Le sta a cuore solo coccolarsi il suo uomo.»

«E aggredire il Vettore», aggiunse Dinky.

«Ma non capiscono...» Susannah non poté finire. L'angustiava non tanto l'eco del proprio sogno, quanto quella di Sheemie. Ora voi mi graffiate con le unghie, aveva detto a Sheemie il ragazzino. Quel bambino che un tempo era stato bello.

«Loro non vogliono capire», ribatté Ted in tono benevolo. Si accorse dell'espressione buia di Eddie e scosse la testa. «Ma io non vi consentirò di odiarli per questo. Forse dovrete... dovremo... uccidere alcuni di loro, ma non vi permetterò di odiarli. Non hanno voltato le spalle alla comprensione per avidità o paura, ma solo per disperazione.»

«E perché infrangere è divino», aggiunse Dinky. Anche lui stava guardando Eddie. «Come può essere divina la mezz'ora dopo che ti sei bucato. Se sai di che cosa parlo.»

Eddie sospirò, si affondò le mani nelle tasche, tacque.

Sheemie li sorprese tutti afferrando una delle mitragliette Coyote e ruotando su se stesso simulando una sventagliata. Fosse stata carica, la grande ricerca della Torre Nera avrebbe avuto fine seduta stante. «Combatterò anch'io!» esclamò. «Pum, pum, pum! Bam-bam-bam-badabam!»

Eddie e Susannah si gettarono a terra; Jake si tuffo istintivamente davanti a Oy; Ted e Dinky si portarono le mani al volto, come se potessero così salvarsi da una scarica di un centinaio di pallottole corazzate di grosso calibro. Roland sfilò con calma l'arma dalle mani di Sheemie.

«Il tuo momento verrà», lo rassicurò, «ma dopo che questa prima battaglia sarà combattuta e vinta. Vedi il bimbolo di Jake, Sheemie?»

«Aye, è con il Rod.»

«Parla. Vedi se riesci a farlo parlare con te.»

Ubbidiente, Sheemie andò nell'angolo dove Chucky/Haylis stava ancora accarezzando le testa di Oy, si abbassò su un ginocchio e cominciò a cercare di indurre il bimbolo a dirgli il suo nome. Cosa che Oy fece quasi subito e con notevole chiarezza. Sheemie rise contagiando Haylis. Sembrava di sentire due bambini del Calla. Del tipo guasto, magari.

Intanto Roland si girò verso Dinky e Ted con le labbra strette in una riga bianca nel volto severo.

 

7

 

«Quando sarà cominciata la sparatoria, bisognerà che lo teniamo fuori.» Il pistolero mimò il gesto di una chiave che gira. «Se perdiamo, ciò che sarà di lui dopo non avrà importanza. Se vinciamo, avremo bisogno di lui almeno una volta ancora. Probabilmente due.»

«Per andare dove?» chiese Dinky.

«Nell'America del Mondo Cardine», gli rispose Eddie. «In una cittadina del Maine occidentale che si chiama Lovell. Nel giugno del 1999, quanto più indietro ce lo permetterà il tempo a senso unico.»

«È stato inviarmi nel Connecticut ad avere inaugurato le crisi di Sheemie, a quel che sembra», osservò sottovoce Ted. «Vi rendete conto che rispedirvi sul lato americano potrebbe peggiorare le sue condizioni? Se non ucciderlo?» Il tono era inemotivo. Per pura curiosità, che diamine!

«Lo sappiamo», rispose Roland, «e quando il momento verrà, gli presenterò il rischio per quello che è e gli domanderò se...»

«Ma per piacere, questa te lo puoi schiaffare là dove non batte il sole», sbottò Dinky e a Eddie parve di sentire se stesso, tanto fu forte l'eco delle sue prime ore sulla spiaggia del Mare Occidentale, quand'era confuso, incavolato nero in crisi di astinenza. Fu un momento di tangibile déjà-vu. «Se gli dicessi che vuoi che dia fuoco a se stesso, la sola cosa che vorrebbe sapere è se hai un fiammifero. Per lui sei Cristo spalmato su un cracker.»

Susannah attese, in un misto di timore e di interesse quasi candido, la risposta di Roland. Non arrivò. Roland fissò Dinky con i pollici infilati nel cinturone.

«Capisci anche tu che un morto non può riportarti indietro dal lato americano», sottolineò Ted in un tono più ragionevole.

«Affronteremo quel problema quando e se sarà il momento», tagliò corto Roland. «Per ora abbiamo altri ostacoli da superare.»

«Sono contenta che si sia deciso di occuparci per prima cosa del Devar-Toi, nonostante il rischio», concluse Susannah. «Quello che sta avvenendo laggiù è abominevole.»

«Sì, signora», si complimentò con una punta di sarcasmo Dinky, toccandosi la tesa immaginaria di un immaginario cappello. «Hai trovato la parola giusta.»

La tensione nella grotta si allentò. Dietro di loro, Sheemie stava ordinando a Oy di rotolarsi per terra e Oy lo accontentava volentieri. Il Rod lo guardava con un sorrisone ebete sulle labbra. Susannah si chiese quando Haylis di Chayven avesse avuto occasione per l'ultima volta di usare il suo sorriso, così carico di fascino fanciullesco.

Pensò se chiedere a Ted se ci fosse un modo per sapere che giorno era in quel momento in America, poi desistette. Se Stephen King era morto, lo avrebbero saputo; così aveva detto Roland e lei non aveva motivo di dubitare della sua parola. Per il momento lo scrittore era vivo e vegeto, intento a sprecare allegramente il suo tempo e la sua preziosa fantasia su qualche progetto insignificante mentre il mondo che il destino gli aveva imposto di immaginare continuava a raccogliere polvere nella sua testa. Se Roland era in collera con lui, c'era poco da meravigliarsi. Era un po' incavolata lei stessa.

«Che piano hai, Roland?» chiese Ted.

«Si basa su due presupposti: che possiamo coglierli di sorpresa e poi travolgerli. Non credo che si aspettino di essere interrotti in questi ultimi giorni; da Pimli Prentiss in giù, fino al più basso degli umani a guardia del reticolato più esterno, non hanno ragione di credere che qualcuno intralcerà il loro lavoro, meno che mai che qualcuno intenda attaccarli. Se le mie supposizioni sono giuste, ce la faremo. Se falliamo, almeno non vivremo abbastanza da vedere i Vettori spezzarsi e la Torre crollare.»

Roland trovò la rudimentale cartina dell'Algul e la distese sul terreno. Tutti vi si raccolsero intorno.

«Questi binari», disse indicando le tracce contrassegnate dal numero dieci. «Guardando con il binocolo sembra che alcune delle motrici morte e dei vagoni di questa linea siano a una ventina di metri dal lati sud del recinto. È così?»

«Sì», confermò Dinky e indicò il centro della linea più vicina. «Se vogliamo stabilire che questo è il sud, basta intendersi. Su questo binario c'è un vagone merci molto vicino alla recinzione. Solo una decina di metri. Sulla fiancata c'è scritto SOO LINE.»

Ted stava annuendo.

«Una buona copertura», rifletté Roland. «Eccellente direi.» Indicò quindi la zona oltre l'estremità nord del campo. «E qui ci sono molti capannoni.»

«Una volta servivano come magazzini di pezzi di ricambio», spiegò Ted, «ma ora sono quasi tutti vuoti, credo. Per un po' se ne sono serviti i Rod per andare a dormire, fino a sette, otto mesi fa, quando Pimli e la Donnola li hanno sbattuti fuori.»

«Altra possibilità di copertura, però, pieni o vuoti», ribatté Roland. «Il terreno che c'è dietro e tutt'intorno è privo di ostacoli e abbastanza pianeggiante? Tanto perché quel coso possa andare avanti e indietro?» Indicò con il pollice la Trici Gran Turismo di Suzie.

Ted e Dinky si scambiarono un'occhiata. «Assolutamente sì», dichiarò Ted.

Susannah attese un'eventuale protesta di Eddie, già prima che si sapesse che cosa aveva in mente Roland. Non ci furono obiezioni. Bene. Lei stava già pensando a che armi usare.

Roland rimase in silenzio per un momento o due, scrutando la mappa quasi che stesse comunicando con essa. Quando Ted gli offrì una sigaretta, il pistolero l'accettò. Poi cominciò a parlare. Due volte disegnò con un pezzetto di gesso sul lato di una delle casse di armamenti. Altre due volte tracciò frecce sulla cartina, una in direzione di quello che avevano chiamato nord, una nella direzione opposta, a sud. Ted fece una domanda; Dinky ne fece un'altra. Dietro di loro, Sheemie e Haylis giocavano con Oy come due bambini. Il bimbolo scimmiottava le loro risa con straordinaria accuratezza.

«Hai in mente di versare un mare di sangue», fu il commento di Ted Brautigan quando Roland ebbe finito.

«Senza dubbio. Un oceano.»

«Rischioso per la signora», commentò Dinky, guardando prima lei e poi suo marito.

Susannah non parlò. Non disse niente neppure Eddie. Riconosceva il rischio. Capiva anche perché Roland voleva Suze sul lato nord. La Gran Turismo le avrebbe garantito mobilità e ne avrebbero avuto bisogno. Quanto al pericolo, erano in sei intenzionati ad affrontarne sessanta. O anche più. Ovvio che ci fosse del pericolo e ovvio che ci sarebbe stato sangue.

Sangue e fuoco.

«Può darsi che riesca ad aggiungere un altro paio di bocche da fuoco», annunciò Susannah. Nei suoi occhi si era accesa quella speciale luce da Detta Walker. «Telecomandate, come gli aeroplanini. Chissà. Ma è sicuro che mi muoverò. Sfreccerò come grasso su una piastra rovente.»

«Potrà funzionare?» domandò senza scrupoli Dinky.

Roland dischiuse le labbra in un sorriso tetro. «Funzionerà.»

«Come fai a dirlo?» lo apostrofò Ted.

Eddie ricordava come aveva ragionato Roland prima che telefonassero a John Cullum e avrebbe potuto rispondere al posto suo, ma spettava al dinh del loro ka-tet farlo. Se ne aveva intenzione, perciò tenne la bocca chiusa.

«Perché deve», disse l'ultimo cavaliere. «Non vedo altro modo.»

 

11

L'attacco ad Algul Siento

 

1

 

Era il giorno dopo e non molto prima che la sirena segnalasse il cambio mattutino dei turni di lavoro. Presto sarebbe iniziata la musica, sarebbe uscito il sole, e i Frangitori del turno di notte avrebbero lasciato lo Studio da sinistra mentre da destra sarebbe entrata la squadra diurna. Tutto procedeva normalmente, eppure la notte prima Pimli Prentiss aveva dormito per meno di un'ora e persino quel breve periodo di riposo era stato turbato da sogni aspri e caotici. Finalmente, verso le quattro (quando l'orologio sul suo comodino sosteneva che fossero le quattro, ma chi ne era sicuro ormai, e che importanza aveva, così vicino alla fine), si era alzato per andare a sedersi in ufficio a guardare il Mall immerso nel buio, deserto a quell'ora salvo che per un robot solitario e sbandato che si era messo in testa di dover fare la ronda, agitando inutilmente al cielo le sei braccia munite di pinze. I robot che funzionavano ancora erano di giorno in giorno più instabili, ma togliere loro le batterie sarebbe stato pericoloso, perché alcune nascondevano delle trappole esplosive. Non si poteva far altro che sopportare le loro bizzarrie e continuare a ricordare a se stessi che presto sarebbe finito tutto, lode a Gesù e a Dio Padre Onnipotente. A un certo punto l'ex Paul Prentiss aveva aperto il cassetto della scrivania sopra il vano per le ginocchia, aveva prelevato la Colt Peacemaker calibro 40 e se l'era posta in grembo. Era la stessa pistola con cui Humma, il Capataz che lo aveva preceduto, aveva giustiziato Cameron, il violentatore. Durante il suo mandato Pimli non aveva dovuto giustiziare nessuno e ne era contento, ma tenere la pistola in grembo, sentire il suo peso notevole, gli assicurava sempre un certo conforto. Sebbene perché dovesse cercare conforto durante le veglie notturne, specialmente quando tutto andava per il meglio, non aveva idea. Sapeva solo che c'erano stati alcuni blip anomali emessi da quello che Finli e Jenkins, il capo tecnico, chiamavano il telemetro profondo, quasi che fossero strumenti sul fondo degli abissi invece che in una cantina, in un piccolo locale adiacente a quello lungo e basso dov'era installato il resto delle attrezzature più utili. Pimli riconosceva in quello che avvertiva - diciamo pane al pane - un senso di sventura incombente. Aveva cercato di convincersi che fosse solo la riprova pratica del proverbio di suo nonno, e siccome era quasi a casa, era il momento di preoccuparsi delle uova.

Finalmente era andato in bagno, aveva abbassato il coperchio del water e si era inginocchiato in preghiera. E lì era ancora, solo che qualcosa nell'atmosfera era mutato. Non aveva sentito rumore di passi, ma sapeva che qualcuno era entrato nel suo ufficio. La logica gli suggeriva chi potesse essere. Sempre senza aprire gli occhi, sempre con le mani giunte sull'asse abbassata del water, chiamò: «Finli? Finli o'Tego? Sei tu?»

«Yar, capo, sono io.»

Che cosa faceva lì prima della sirena? Tutti, persino i Frangitori, sapevano che dormiglione era Finli la Donnola. Ma ogni cosa a suo tempo. In quel momento Pimli stava intrattenendo il Signore (sebbene in verità, quando un istinto recondito lo aveva avvertito che non era più solo al pianterreno della Casa del Capataz, si era quasi addormentato in ginocchio). Non si poteva piantare in asso un ospite importante come il Signore Dio degli Angeli, cosicché finì la sua preghiera - «concedimi la grazia della Tua volontà, amen!» -prima di rialzarsi con una smorfia. Quella schiena dannata non era per niente contenta del pancione che doveva issare dall'altra parte.

Finli era alla finestra, a rigirarsi tra le mani la Peacemaker nella luce fioca per ammirare le delicate incisioni ornamentali sulle piastre del calcio.

«Questa è quella che ha detto buonanotte a Cameron, vero?» chiese. «Cameron il violentatore.»

Pimli annuì. «Fa' attenzione, figliolo, è carica.»

«Sei colpi?»

«Otto! Sei cieco? Guarda quant'è grosso il tamburo, diamine.»

Finli lasciò perdere. Restituì invece la pistola a Pimli. «So come schiacciare un grilletto, orsì, e in fatto di armi tanto basta.»

«Aye, se è carica. Come mai sei in piedi a quest'ora e disturbi un uomo nelle sue preghiere mattutine?»

Finli gli rivolse un'occhiata provocatoria. «Se fossi io a chiedere a te come mai ti trovo in preghiera, vestito e pettinato invece che in vestaglia e ciabatte con un occhio aperto e uno chiuso, che risposta mi daresti?»

«Ho un po' di fifa. Semplicissimo. Immagino che ce l'abbia anche tu.»

Finli sorrise deliziato. «Fifa! È come dire tremarella, strizza, perché c'è qualcosa che non quaglia-glia-glia?»

«Più o meno, yar.»

Il sorriso di Finli s'intensificò, ma Pimli non lo trovò molto sincero. «Mi piace! Mi piace molto! Fifa! Fifone!»

«No», lo corresse Pimli. «'Ho fifa', è così che si dice.»

Il sorriso di Finli si spense. «Ho fifa anch'io. Ho strizza. Sento qualcosa che non quaglia-glia-glia. Io ho la trema e tu hai la rella.»

«Il Telemetro Profondo ha fatto altri segnali strani?»

Finli prima alzò le spalle, poi annuì. Il problema con il Telemetro Profondo era che nessuno di loro sapeva di preciso che cosa misurava. Poteva essere la telepatia, o (Dio non volesse) la psicocinesi, o anche le scosse profonde nel tessuto della realtà, precursori dell'imminente schianto del Vettore dell'Orso. Impossibile dirlo. Ma in quegli ultimi quattro mesi si era andato risvegliando un numero crescente delle attrezzature che fino ad allora erano rimaste spente e silenziose.

«Che cosa dice Jenkins?» volle sapere Pimli. Infilò la calibro 40 nella presa del portuale senza quasi pensarci, portandoci così un passo più vicino a quello che voi non volete sentire e che io non ho voglia di dirvi.

«Jenkins dice tutto quello che gli esce di bocca sul tappeto volante della lingua», rispose il Tego con una stizzita scrollata di spalle. «Visto che non sa nemmeno che cosa significano i simboli che ci sono sui quadranti e gli schermi del Telemetro Profondo, come puoi chiedere la sua opinione?»

«Calma», lo ammonì Pimli, posando una mano sulla spalla del suo capo della Sicurezza. Non si meravigliò (e anche allarmò un poco) sentire un lieve fremito nel corpo sotto l'elegante camicia di Turnbull & Asser. Se non addirittura un tremito. «Calma, amico! Stavo solo chiedendo.»

«Non riesco a dormire, non riesco a leggere, non riesco neppure a scopare», protestò Finli. «Tutte e tre le ho provate, per Gan! Vieni giù con me a Casa Damli, per favore, a dare un'occhiata a quei dannati indicatori. Forse ti viene qualche buona idea.»

«Io sono un dirigente, non un tecnico», si schermì Pimli, ma già si volgeva alla porta. «Tuttavia, visto che non ho niente di meglio da fare...»

«Forse è solo l'inizio della fine», osservò Finli, seguendolo. «Posto che una cosa del genere esista.»

«Forse è così», gli concesse magnanimo Pimli, «e una passeggiata nell'aria del mattino non può farci che... ehi! Ehi, tu! Tu, laggiù! Tu, Rod! Girati quando ti parlo, bada!»

Il Rod, un individuo smilzo in una vecchia tuta di jeans (con il fondo dei calzoni che gli pendeva ed era quasi completamente privo di colore), ubbidì. Aveva le guance rotonde e lentigginose, gli occhi di un'accattivante sfumatura di azzurro anche in quel momento, quand'erano pieni di allarme. Sarebbe stato senza dubbio piacente non fosse per il naso, che era stato divorato quasi del tutto da una parte e gli conferiva un aspetto bizzarro per via di quell'unica narice. Stava portando una cesta. Pimli era sicuro di aver già visto in giro quel bah-bo strisciapiedi, ma non avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco; per lui tutti i Rod si somigliavano.

Nessun problema. Le identificazioni erano compito di Finli, che già si era sfilato un guanto di gomma dalla cintura e lo stava indossando mentre si avvicinava al Rod. Il malcapitato era indietreggiato fin contro il muro, stringendo sempre di più la sua cesta di vimini e lasciando partite una scoreggia che doveva essere di puro nervosismo. Pimli dovette morsicarsi l'interno della guancia, e con non poca forza, per impedire che un sorriso gli piegasse le labbra.

«Nay, nay, nay!» esclamò il capo della Sicurezza e con la mano appena inguantata gli sferrò un manrovescio al volto. (Meglio non entrare in contatto diretto con i Figli di Roderick; avevano troppe malattie.) Dalla bocca del Rod volò saliva, dal buco che aveva nel naso gli uscì sangue. «Non parlarmi dalla tua chiamascatola, sai Haylis! Il buco che hai nella testa non è molto meglio, ma almeno sa rivolgermi una parola di rispetto. E sarà meglio che lo faccia!»

«Hile, Finli o'Tego», borbottò Haylis e si colpì la fronte con un pugno andando a cozzare con la nuca contro il muro: bonk! Pimli non ce la fece più e scoppiò a ridere. E Finli non avrebbe potuto rimproverarlo per quello durante il cammino verso Casa Damli, perché stava sorridendo anche lui ormai. Sebbene Pimli dubitasse che il Rod di nome Haylis potesse trovare molta consolazione in quel sorriso. Metteva in mostra troppi denti aguzzi. «Hile, Finli della Guardia, lunghi giorni e piacevoli notti a te, sai!»

«Meglio», gli concesse Finli. «Non molto, ma un po' sì. In nome del demonio, che cosa fai qui prima di Sirena e Sole? E dimmi che cosa porti nel cavagno, balordo.»

Haylis si serrò ancor più forte la cesta al petto, con gli occhi che gli balenavano di paura. Il sorriso di Finli scomparve all'istante.

«Solleva quel coperchio e mostrami che cos'hai nel cavagno immediatamente, camerata, o dovrai frugare per terra per ritrovare i tuoi denti.» Pronunciò quelle parole in un ringhio sommesso e uniforme.

Per un momento Pimli pensò che il Rod non intendesse ubbidire e avvertì una recrudescenza di ansia. Poi, lentamente, lo vide sollevare il coperchio del canestro di vimini. Era di quelli con le maniglie, che nel territorio natio di Finli chiamavano «cavagno». Contemporaneamente chiuse gli occhi infiammati e cisposi e girò la testa di lato, come anticipando un colpo.

Finli guardò. Per un po' non disse niente, poi scoppiò a ridere lui stesso e invitò Pimli a dare un'occhiata. Il Capataz riconobbe subito cosa stava vedendo, ma per capire che cosa significava gli ci volle un istante ancora. Poi la sua mente tornò in un lampo a quando aveva schiacciato il foruncolo e aveva offerto a Finli il pus sanguinolento, come si offre a un amico un avanzo di leccornia alla fine di un banchetto. In fondo alla cesta del Rod c'era una montagnola di fazzoletti di carta usati, Kleenex, per la precisione.

«Tammy Kelly ti ha mandato a pulire stamattina?» chiese Pimli.

Il Rod annuì intimorito.

«Ti ha detto che potevi prendere quello che trovavi e che ti piaceva dai bidoni delle immondizie?»

Pensava che il Rod avrebbe mentito. Se e quando lo avesse fatto, il Capataz avrebbe ordinato a Finli di picchiarlo per impartirgli una lezione di onestà.

Ma il Rod, Haylis, scosse mestamente la testa in segno di diniego.

«Va bene», disse Pimli risollevato. Era in realtà troppo presto per pestaggi e grida e pianti. Roba da togliere il piacere della prima colazione. «Te ne puoi andare e portar via con te il tuo bottino. Ma la prossima volta, camerata, chiedi il permesso o avrai a uscire di qui malconcio. Capito?»

Il Rod annuì con energia.

«Fila allora, via! Fuori dalla mia casa e lontano dalla mia vista!»

Lo guardarono andarsene, con il suo canestro di fazzoletti sporchi che senza dubbio avrebbe mangiato come fossero torroncini, superandosi l'un l'altro nello sforzo di mantenere un'espressione grave e severa finché il povero, sfigurato figlio di nessuno fu scomparso. Poi si lasciarono andare in risa isteriche. Finli o'Tego barcollò fin contro il muro e lo urtò con tanta forza da staccare un quadro dal gancio, poi scivolò per terra, in preda alle convulsioni. Pimli si nascose il volto nelle mani e rise fino a che sentì fitte nel considerevole addome. L'ilarità fugò la tensione con cui entrambi avevano incominciato la giornata.

«Un tipo davvero pericoloso!» disse Finli quando riuscì a parlare di nuovo un po'. Si asciugava gli occhi inondati con la mano-zampa pelosa.

«Il Caccolatore Folle!» esclamò Pimli. Era diventato paonazzo. Si scambiarono uno sguardo e scoppiarono in un nuovo accesso di risa, sfogando in quei ragli il loro sollievo, fino a svegliare la governante al secondo piano. Distesa nel suo lettino, Tammy Kelly ascoltò quel chiasso ka-mai che proveniva da sotto fissando crucciata il buio. Gli uomini erano tutti uguali, dal suo punto di vista, quale che fosse la pelle che indossavano.

Fuori, il Capataz umano e il capo della Sicurezza taheen si avviarono a braccetto attraverso il Mall. Intanto il Figlio di Roderick sgattaiolò dal cancello nord a testa bassa, con il cuore che gli batteva all'impazzata. Quanto ci era stato vicino! Ave! Se Testa di Donnola gli avesse chiesto: «Haylis, hai forse lasciato qualcosa in casa?» avrebbe mentito come sapeva, ma quelli come lui non potevano farcela con individui come Finli o'Tego, mai e poi mai! Lo avrebbe scoperto di sicuro. Ma non era stato scoperto, fosse lodato Gan. La palla che aveva ricevuto dal pistolero era ora nascosta nella camera da letto in fondo all'appartamento, a ronzare sommessamente. L'aveva collocata nel cestino per la carta straccia, come gli era stato ordinato, e l'aveva coperta con fazzoletti di carta puliti che aveva prelevato dalla scatola sul portacatino, come pure gli era stato ordinato. Nessuno gli aveva detto che poteva portar via i fazzoletti usati, ma non aveva saputo resistere al loro aroma, così inebriante e succoso. Ed era stato un bene, no? Yar! Perché invece di subissarlo di domande alla quale non sarebbe stato capace di rispondere, lo avevano preso in giro e lasciato andare. Quanto gli sarebbe piaciuto tornare lassù, su quella montagna, a giocare di nuovo con il bimbolo, orsì, ma il vecchio umano dai capelli bianchi, quello che si chiamava Ted, gli aveva detto di andar via, lontano e lontano, dopo che avesse compiuto la sua commissione. E se avesse sentito sparare, Haylis aveva l'ordine di restarsene nascosto finché non fosse tutto finito. E lui lo avrebbe fatto, oh, sì, nair doot. Non aveva forse fatto quello che gli aveva chiesto Roland o'Gilead? La prima delle sfere ronzanti era ora a Feveral, uno dei dormitori, altre due erano a Casa Damli, dove lavoravano i Frangitori e dormivano i gendarmi fuori servizio, e l'ultima era nella Casa del Capataz... dove per poco non lo scoprivano! Haylis non sapeva che cosa facessero le palle ronzanti, ma neanche lo voleva sapere. Sarebbe andato via, possibilmente con l'amica Garma, se fosse riuscito a trovarla. Se si fosse cominciato a sparare, si sarebbero nascosti in una fossa profonda e avrebbero gustato insieme i suoi fazzoletti. Alcuni avevano su solo qualche residuo di sapone da barba, ma ce n'erano altri ben impregnati di muco ancora bagnato e dense scaccolate: quelli di cui percepiva anche ora l'incantevole fragranza. Avrebbe riservato a Garma quello con l'emissione più consistente, gelatinosa e sanguinolenta, e chissà che lei in cambio non gli avrebbe lasciato fare una trombatina. Hayliss allungò il passo sorridendo alla prospettiva di una trombatina con Garma.

 

2

 

In sella alla sua Gran Turismo, nascosta in uno dei capannoni abbandonati sul lato nord del campo, Susannah guardava Haylis allontanarsi. Notò che il poveretto sfigurato se la sorrideva tra sé e sé, dunque probabilmente era andato tutto bene. Buone notizie. Quando lo perse di vista, riportò l'attenzione sul suo settore di Algul Siento.

Da dove si trovava vedeva entrambe le torri (sebbene di quella di sinistra scorgesse solo la parte superiore, perché il resto era celato da una collinetta). Erano inghirlandate da una specie di edera. Coltivata, pensò Susannah, visto che difficilmente sarebbe cresciuta selvatica in un terreno così arido. Sulla torre a ovest c'era una sentinella, seduta su una sedia sdraio, forse addirittura una La-Z-Boy. Al parapetto di quella a est si affacciavano un taheen con la testa di castoro e un uomo basso (se era un umano era di una bruttezza indescrivibile). Conversavano in attesa della sirena che avrebbe consentito loro di smontare dal servizio e andare a fare colazione allo spaccio. Fra le due torri vedeva i tre recinti, distanziati l'uno dall'altro abbastanza perché il camminamento centrale permettesse ad altre sentinelle di percorrerlo senza rischiare di rimanere folgorate. Ma quella mattina non c'era nessuno a pattugliarli. Lo scarso folken che si aggirava all'interno della recinzione se la prendeva comoda e dava l'impressione di non avere né impegni né una destinazione precisa. A meno che quell'abulia generale fosse la messinscena del secolo, Roland aveva ragione. Erano vulnerabili quanto un branco di maialini grassi intenti a consumare il loro ultimo pasto davanti al mattatoio: Come-come-commole, facciamone braciole.

E sebbene i pistoleri non avessero avuto fortuna nella loro ricerca di armi telecomandate, avevano tuttavia scoperto che tre dei fucili più fantascientifici erano dotati di un interruttore con la scritta INTERVALLO. Eddie aveva detto che secondo lui dovevano essere fucili laser. Jake aveva proposto di prenderne uno e provarlo da qualche parte lontano dal Devar-Toi, ma Roland aveva immediatamente posto il veto. Tutto questo accadeva la sera prima, mentre discutevano per l'ennesima volta i particolari del piano per l'indomani.

«Ha ragione, figliolo», aveva convenuto Eddie. «Quei pagliacci là sotto potrebbero sapere che stiamo usando queste armi anche se non vedessero o sentissero niente. Non abbiamo idea di quale genere di vibrazioni sia in grado di intercettare il loro telemetro.»

Con il favore dell'oscurità, Susannah aveva piazzato i tre laser. Quando fosse venuto il momento, avrebbe azionato gli interruttori di intervallo. Se funzionavano, avrebbero contribuito all'effetto generale che avevano intenzione di creare, altrimenti pazienza. Avrebbe fatto un tentativo al momento opportuno e più di così non le si poteva chiedere.

Con il cuore che le batteva forte, Susannah attese l'inizio della musica. L'ululato della sirena. E, se le bocce piazzate dal Rod avessero corrisposto ai desideri di Rod, gli incendi.

«L'ideale sarebbe che scoppiassero tutti durante i cinque o dieci minuti del cambio della guardia», aveva detto Roland. «Tutti che vanno un po' di fretta, che salutano gli amici e si scambiano battute e pettegolezzi. Non possiamo pretendere che vada così, naturalmente, ma possiamo sperarlo.»

Sì, tanto potevano fare... ma con la speranza in una mano e la merda nell'altra: vediamo quale si riempie per prima. In ogni caso spettava a lei decidere quando sparare il primo colpo. Dopodiché sarebbe avvenuto tutto jin-jin.

Dio, Ti prego, aiutami a scegliere il momento giusto.

Attese, con la canna di una Coyote appoggiato all'incavo della spalla. Quando partì la musica - a lei sembrò una versione registrata di 'At's Amore - sussultò così violentemente sulla sella della TGT, che premette involontariamente il grilletto. Se non avesse inserito la sicura, avrebbe crivellato il soffitto del capannone e mandato contemporaneamente all'aria tutto il piano. Ma Roland era stato un istruttore accurato e il grilletto non si mosse sotto il suo dito. Però il suo cuore raddoppiò i battiti, forse li triplicò, e Susannah sentì il sudore che le colava lungo i fianchi sebbene la temperatura fosse scesa di nuovo.

La musica era iniziata e fin lì tutto bene. Ma la musica non bastava. Si accomodò meglio sulla sella della TGT e aspettò la sirena.

 

3

 

«Dino Martino», mormorò Eddie.

«Come?» chiese Jake.

Erano tutti e tre dietro il vagone della SOO LINE, a cui erano giunti attraversando il cimitero di vecchie motrici e carrozze ferroviarie. Entrambi i portelloni del vagone erano aperti e tutti e tre, sbirciando da una parte all'altra, avevano dato un'occhiata al recinto, le torri a sud e il villaggio di Pleasantville, percorso da un'unica via. Proprio in Main Street scorreva su e giù tra le pittoresche botteghe (tutte chiuse) il robot a sei braccia che in precedenza scorrazzava per il Mall. Recitava quelle che sembravano equazioni matematiche a pieni... polmoni?

«Dino Martino», ripeté Eddie. Oy era accucciato ai piedi di Jake e lo guardava con i suoi grandi occhi cerchiati d'oro; Eddie si chinò per accarezzargli la testa. «Dean Martin fu il primo a cantare quella canzone.»

«Sì?» fece Jake dubbioso.

«Certo. Solo che noi cantavamo: 'Se ti viene un faccion da stronzon, è l'amore...'»

«Silenzio, se ti è gradito», mormorò Roland.

«Niente odore di fumo ancora, vero?» chiese Eddie.

Jake e Roland scossero la testa. Roland aveva il suo pistolone con l'impugnatura di sandalo. Jake aveva scelto un AR15, ma, appesa alla spalla, aveva di nuovo la sacca di Oriza e non come portafortuna. Se tutto fosse andato bene, lui e Roland li avrebbero usati.

 

4

 

Come quasi tutti coloro che hanno a disposizione quello che si chiama «aiuto domestico», Pimli Prentiss non aveva percezione dei suoi dipendenti come creature con obiettivi, ambizioni e sentimenti; come esseri umani, in altre parole. Fintanto che c'era qualcuno che alle sei e mezzo del pomeriggio gli portava il suo bicchiere di whisky e la sua braciola (al sangue), a loro non pensava affatto. Sarebbe rimasto addirittura sbigottito nell'apprendere che Tammy (la sua governante) e Tassa (il suo attendente) si detestavano. In sua presenza si trattavano l'un l'altro con assoluto rispetto, seppure gelidamente.

Quella mattina, mentre dagli altoparlanti nascosti di Algul Siento si diffondeva 'At's Amore interpretata dai Billion Bland Strings, Pimli non era a casa. Il Capataz attraversava il Mall in compagnia di Jakli, un tecnico taheen dalla testa di corvo, e del suo capo della Sicurezza. Discutevano del Telemetro Profondo e i pensieri di Pimli erano quanto mai lontani dalla casa da cui era uscito poco prima. Di certo non avrebbe potuto mai immaginare che Tammy Kelly (ancora in camicia da notte) e Tassa di Sonesh (ancora nei suoi boxer di seta) si accingevano a darsi battaglia sulle scorte della dispensa.

«Guarda qui!» strillò lei. Erano in cucina, in una fitta penombra. Era un locale spazioso, dove tutte le lampadine erano bruciate eccetto tre. Le poche che ancora era possibile trovare da Stores erano rigorosamente riservate allo Studio.

«Guardo cosa?» Torvo. Imbronciato. E non era forse una traccia di rossetto quella che aveva sulla boccuccia da Cupido? A lei sembrava di sì.

«Non vedi tutti quei vuoti sugli scaffali?» domandò lei indignata. «Guarda! I fagioli sono finiti...»

«I fagioli non gli piacciono, lo sai benissimo...»

«Non c'è nemmeno più tonno in scatola e non venirmi a raccontare che quello non lo mangia! Da farselo uscire dalle orecchie, lo mangia, e lo sai!»

«Potresti evitare...»

«Niente più minestre...»

«Col cazzo che non ce n'è!» sbottò lui. «Guarda lì... e lì... e...»

«Non c'è più il Doropomo della Campbell, quello che gli piace di più, lo soverchiò lei, avvicinandoglisi sulla spinta dell'emozione. I loro alterchi non erano mai degenerati in vere e proprie scazzottate, ma Tassa non escludeva che fosse la volta buona. E se così fosse stato, niente di meglio! Quanto gli sarebbe piaciuto fare un occhio nero a quella vecchia e grassa ciabatta dalla lingua lunga. «Vedi forse delle scatole di Doropomo Campbell, Tassa di-dove-non-so?»

«Perché, non sei capace di andare a prenderne una scatola da te?» le chiese lui, avanzando a sua volta di un passo; ora erano quasi naso a naso, e sebbene la donna fosse corpulenta e il giovane fosse snello, l'attendente del Capataz non diede segno di soggezione. Tammy sbatté le palpebre e per la prima volta da quando tassa era comparso in cucina strascicando i piedi - con il proposito di farsi nient'altro che una tazza di caffè, diciamo grazie - sul suo volto affiorò un'espressione che non era di contrarietà. Poteva essere nervosismo. Poteva essere paura. «Hai le braccia di pasta frolla, Tammy di-dovunque-tu-sia, che non puoi portare a casa da Stores una scatola di lattine di minestra?

Offesa, lei si gonfiò in tutta la sua statura. La pappagorgia (unta e lucida di qualche misteriosa crema notturna) vibrò di indignazione. «Andare a fare provviste per la dispensa è sempre stato compito dell'attendente! E questo lo sai benissimo!»

«Non c'è una legge scritta che non puoi dare una mano. Ieri gli stavo falciando il prato, come ben sai; ti ho vista seduta in cucina con un bicchiere di tè freddo, se ti ho vista, bella stravaccata sulla tua sedia preferita.»

Di fronte a quell'oltraggio, la collera ebbe il sopravvento sulla paura. «Ho diritto di riposare come tutti! Avevo appena lavato il pavimento...»

«A me è sembrato che lo avesse lavato Dobbie», obiettò lui. Dobbie era quel tipo di robot domestico conosciuto come «Elfo di casa», vecchio ma ancora più che efficiente.

La collera di Tammy aumentò. «Cosa vuoi sapere tu di faccende domestiche, piccola checca da quattro soldi?»

Le guance normalmente pallide di Tassa s'infiammarono. Si era accorto di aver chiuso i pugni, ma solo perché sentiva le curatissime unghie conficcate nei palmi. Gli venne da pensare che quel genere di strano battibecco avesse qualcosa di grottesco nell'atmosfera funerea dell'imminente fine di tutto quanto; erano due imbecilli a prendersi a male parole sul ciglio stesso dell'abisso, ma non gl'importava. Erano anni che quella vecchia troia sparlava di lui e ora il vero motivo veniva a galla. Eccolo lì finalmente nudo e crudo, allo scoperto.

«È questo che ti scoccia tanto di me, sai?» le domandò in tono dolce. «Che mi piace baciare la vanga invece di scavare la losanga, tutto qui?»

Ora a balenare sulle guance di Tammy Kelly furono torce invece di rose. Non aveva avuto intenzione di spingersi così avanti, ma ora che lo aveva fatto - che lo avevano fatto, perché se ci fosse stata baruffa, la colpa sarebbe stata di entrambi alla pari - non si sarebbe tirata indietro. Piuttosto morta. «La Bibbia del Capataz dice che farlo con lo stesso sesso è peccato», dichiarò lei in tono severo. «L'ho letto io stessa. Libro del Leviticracks, Capitolo Terzo, Versetto...»

«E che cosa dice il Leviticracks sul peccato di gola?» la apostrofò lui. «Che cosa dice di una donna con le tette grosse come angurie e un culo che sembra un cantera...»

«Tu non stare a pensare alle dimensioni del mio culo, piccolo succhiaminchie!»

«Almeno io riesco a procurarmi un uomo», ribatté lui zuccheroso, «e non devo andare a letto con uno straccio per la polvere...»

«Non t'azzardare!» strillò lei. «Chiudi quella boccaccia prima che te la chiuda io!»

«...per togliermi le ragnatele dalla sorca per potermi...»

«Guarda che ti faccio saltare i denti se...»

«...sditalare il bucazzo vecchio e stanco.» Poi gli venne in mente qualcosa che poteva offenderla ancora di più. «Il mio sozzo bucazzo vecchio e stanco.»

Serrò i pugni anche lei, molto più grossi di quelli di lui. «Almeno io non ho mai...»

«Coraggio, sai, ti prego.»

«...mai preso in quel posto un... un...»

La voce le morì in gola. Assunse un'aria perplessa e annusò l'aria. L'annusò anche lui e si accorse che l'odore che sentiva non era nuovo. C'era già fin quasi dall'inizio del loro litigio, ma ora era più forte.

«Non senti...» cominciò Tammy.

«Fumo!» esclamò lui e si guardarono allarmati, dimenticando il loro diverbio forse solo cinque secondi prima che passassero alle mani. Gli occhi di Tammy si fermarono sull'ammonimento appeso di fianco ai fornelli. Ce n'erano dappertutto ad Algul Siento, perché quasi tutti gli edifici del campo erano di legno. Legno stagionato. DOBBIAMO LAVORARE TUTTI INSIEME TER CREARE UN AMBIENTE LIBERO DAL FUOCO, diceva.

Non distante da loro, in corridoio, uno dei rilevatori di fumo ancora funzionanti si attivò emettendo un potente e spaventoso bramito. Tammy si precipitò nella dispensa a prendere l'estintore.

«Vai a prendere quello che c'è in biblioteca!» gridò e Tassa partì di corsa senza una parola di protesta. Il fuoco era l'unica cosa che tutti temevano.

 

5

 

Gaskie o'Tego, il vicecapo della Sicurezza, era nell'atrio di Feveral, il dormitorio che si trovava subito sotto Casa Damli, a chiacchierare con James Cagney. Cagney era rosso di capelli, patito di camicie stile western e stivali che aumentavano di sette centimetri la sua reale statura di centosessantacinque. Erano entrambi armati di tavoletta a pinza e discutevano certi indispensabili cambiamenti al servizio di sorveglianza della settimana successiva. Sei dei gendarmi che erano state assegnati al secondo turno erano state colpiti da quella che secondo Gangli, il medico della prigione, era una malattia umana chiamata «orecchiacce». Le affezioni erano un fatto comune a Rombo di Tuono - era l'aria, come tutti sapevano, e a esse contribuiva il retaggio venefico degli Antichi - ma erano la peggiore delle rogne. Gangli sosteneva che erano fortunati che non ci fosse mai stata una vera epidemia, come la Morte Nera o la Scalmana Tremens. Non lontano da loro, nel cortile pavimentato dietro Casa Damli, era in corso una mattiniera partita a pallacanestro: alcuni gendarmi taheen e can-toi (che appena avesse suonato la sirena sarebbero stati ufficialmente in servizio) contro una squadra raccogliticcia di Frangitori. Gaskie guardò Joey Rastosovich tentare un canestro da fuori area... swish. Trampas intercettò il pallone e tornò verso il centro del campo palleggiando e sollevandosi un attimo il berretto per grattarsi la testa. A Gaskie non piaceva molto Trampas, che manifestava una sconveniente simpatia per quegli animali pieni di talento che aveva il compito di sorvegliare. Più vicino, seduto sui gradini del dormitorio, c'era anche Ted Brautigan a seguire le fasi del gioco. Sorseggiava come sempre una lattina di Nozz-A-La.

«Al diavolo», disse James Cagney nel tono di chi non vede l'ora di chiudere una discussione noiosa. «Se non ti scoccia togliere un paio di umani dalla ronda esterna per un giorno o due...»

«Che ci fa Brautigan in piedi così presto?» lo interruppe Gaskie. «Non lo si vede quasi mai in giro prima di mezzogiorno. Anche quel ragazzo che si fila sempre... Come si chiama...?»

«Earnshaw?» Brautigan se l'intendeva anche con quel mezzo scimunito di Ruiz, ma Ruiz non era un ragazzino.

Gaskie annuì. «Aye, Earnshaw, giusto. Lui stamattina è di servizio. L'avevo visto allo Studio.»

A Cag (come lo chiamavano gli amici), non importava un fico secco del perché Brautigan fosse in piedi con le galline (non che fossero rimaste molte galline a Rombo di Tuono); lui voleva solo chiudere quel problema dei turni di guardia per potersene andare a Damli a farsi un piatto di uova strapazzate. Uno dei Rod aveva trovato chissà dove dell'erba cipollina fresca, o almeno così aveva sentito dire, e...

«Non senti un odore strano, Cag?» domandò all'improvviso Gaskie o'Tego.

Il can-toi che si considerava una riedizione di James Cagney fu sul punto di chiedere se avesse mollato, ma all'ultimo istante tenne in sospeso la sua spiritosaggine. Perché in effetti un odore, lo sentiva. Era fumo?

Secondo Cag lo era.

 

6

 

Seduto sui freddi gradini di Feveral Hall, Ted respirava l'aria puzzolente e ascoltava gli scambi scurrili tra umani e taheen sul campo di basket. (Non i can-toi; loro rifuggivano da simili volgarità.) Il cuore gli batteva forte ma non veloce. Se c'era un Rubicone da attraversare, lui lo aveva fatto molto tempo prima. Forse la sera in cui gli uomini bassi lo avevano riportato indietro dal Connecticut, più probabilmente il giorno in cui aveva avvicinato Dinky per proporgli di mettersi in contatto con i pistoleri che secondo Sheemie Ruiz erano nei paraggi. Ora era teso (al massimo, avrebbe detto Dinky), ma nervoso? No. il nervosismo era per coloro che ancora dubitavano della decisione presa.

Dietro di sé sentì un idiota (Gaskie) che chiedeva all'altro idiota (Cagney) se sentiva un odore strano e Ted fu certo che Haylis avesse portato a termine la sua missione; la partita era cominciata. Si tolse di tasca un foglietto. Su di esso c'era scritto: SE ANDATE A SUD CON LE MANI ALZATE, VIVRETE.

Lo fissò preparandosi all'annuncio.

Dietro di lui, nella sala di ricreazione di Feveral, un rilevatore di fumo cominciò a emettere un sonoro raglio asinino.

Eccoci, eccoci, pensò Ted e guardò a nord, dove sperava che fosse nascosto il primo attaccante... la donna.

 

7

 

A tre quarti di strada in direzione di Casa Damli, Capataz Prentiss si fermò, con Finli da una parte e Jakli dall'altra. La Sirena ancora non aveva suonato, ma dietro di loro l'aria vibrava di un potente nitrito. Non avevano ancora cominciato a voltarsi, quando un altro ragliare concitato si scatenò dall'altro versante del campo, dove c'erano i dormitori.

«Ma che diavolo...» cominciò Pimli.

...e questo era come intendeva finire, ma prima che ci riuscisse, dalla porta principale della Casa del Capataz, uscirono correndo come matti prima Tammy Kelly e subito dopo Tassa, il suo attendente, entrambi agitando freneticamente le braccia sopra la testa.

«Al fuoco!» gridò Tammy. «Al fuoco!»

Fuoco? Ma non è possibile, pensò Pimli. Perché se quello che sento sbraitare in casa mia è il rilevatore di fumo e quello che sento arrivare dai dormitori è anche il rilevatore di fumo, allora certamente...

«Dev'essere un falso allarme», disse a Finli. «I rilevatori partono quando le batterie si...»

Prima che potesse portare a conclusione quell'ipotesi speranzosa, una delle finestre laterali della Casa del Capataz esplose. Dall'apertura eruppe una fiammata arancione.

«Dei!» urlò Jakli nella sua voce ronzante. «Ma è fuoco davvero!»

Pimli guardava a bocca aperta. E all'improvviso entrò in azione un altro allarme ancora, diverso dagli altri: una serie di singulti. Buon Dio, dolce Gesù, quello era uno degli allarmi di Casa Damli! Ma non era possibile che...

Finli o'Tego lo afferrò per un braccio. «Capo», esclamò riuscendo a mantenere abbastanza bene la calma. «Abbiamo un problema.»

Prima che Pimli rispondesse, partì la Sirena dell'avvicendamento dei turni di servizio. E a un tratto Pimli si rese conto di quanto vulnerabili sarebbero stati nei prossimi sette minuti circa. Vulnerabili a ogni sorta di incidenti. Rifiutò di consentire alla parola aggressione l'ingresso nella mente. Almeno per ora.

 

8

 

Dinky Earnshaw sedeva da un tempo interminabile nella comoda poltrona imbottita ad attendere con impazienza che cominciasse la festa. Di solito trovarsi allo Studio lo metteva di buonumore - diamine, metteva tutti di buonumore, era l'effetto della «buona mente» - ma quel giorno sentiva solo dentro di sé i fili della tensione che si tiravano sempre di più, serrandogli le viscere in un gomitolo. Percepiva gli sguardi di taheen e can-toi che scendevano di tanto dai ballatoi, a cavalcare la buona mente, ma non doveva temere di essere pronato da loro; su quel lato almeno era al sicuro.

Che cosa era quello? Un allarme antincendio? Da Feveral, forse?

Può darsi. Ma forse no. Nessuno ci faceva caso.

Aspetta, ordinò a se stesso. Ted ti ha detto che questa sarebbe stata la parte più difficile, no? E almeno Sheemie ne è fuori. Sheemie è al sicuro in camera sua e la Corbett Hall non verrà incendiata. Perciò calmati. Rilassati.

Sì, era sicuramente il barrito di un allarme antincendio. Non c'erano dubbi. Be'... forse uno restava ancora.

Aperta sulle ginocchia aveva una rivista di cruciverba. Negli ultimi cinquanta minuti aveva riempito gli spazi con lettere a caso, ignorando totalmente le definizioni. Ora, sul margine superiore, a grandi lettere maiuscole scrisse: SE ANDATE A SUD CON LE MANI ALZATE, VIVRE

Fu allora che uno degli allarmi al piano di sopra, probabilmente quello dell'ala ovest, entrò in funzione con frastuono spaventoso e distorto. Alcuni dei Frangitori, strappati violentemente dal profondo stordimento della loro concentrazione, lanciarono grida di sorpresa e paura. Anche Dinky gridò, ma di sollievo. Sollievo e qualcos'altro. Felicità? Sì, molto probabilmente era proprio felicità. Perché quando era partito l'allarme, aveva sentito spezzarsi il potente brusio della «buona mente». La forza congiunta dei Frangitori si era spenta come un circuito elettrico sovraccarico. Almeno per il momento l'aggressione al Vettore si era inceppata.

Lui però aveva un lavoro da svolgere. Basta aspettare. Si alzò lasciando cadere sul tappeto turco la rivista di cruciverba e lanciò la mente ai Frangitori presenti in sala. Non fu difficile: si era esercitato quasi tutti i giorni con l'aiuto di Ted per quel momento. E se avesse funzionato? Se i Frangitori avessero intercettato e ritrasmesso amplificandolo quello che Dinky poteva solo suggerire portandolo a livello di comando? Ah, allora la sua forza si sarebbe moltiplicata. Sarebbe diventata l'accordo dominante in una nuova gestalt della «buona mente».

Questa almeno era la speranza.

(È UN INCENDÌO GENTE C'È UN INCENDIO NELL'EDIFICIO)

Come per sottolinearlo, ci furono il botto ovattato e il tintinnio di qualcosa che implodeva e subito dopo dalle griglie di ventilazione cominciò a filtrare il primo sbuffo di fumo. I Frangitori si guardarono intorno con gli occhi sbarrati, alcuni cominciando ad alzarsi.

E Dinky inviò:

(MANTENETE LA CALMA È TUTTO SOTTO CONTROLLO ANDATE)

Trasmise un'immagine provetta della scala nord, poi aggiunse Frangitori. Frangitori che salivano le scale. Frangitori che attraversavano la cucina. Crepitare dell'incendio, odore di fumo, ma provenienti entrambi dalla zona notte dei gendarmi nell'ala ovest. E chi avrebbe dubitato della veridicità di quella trasmissione mentale? Qualcuno si sarebbe forse chiesto chi la stava inviando o perché? Non in quel momento, quando erano solo impauriti. Non in un momento in cui volevano che qualcuno indicasse loro che cosa fare e c'era Dinky Earnshaw ad accontentarli.

(ALLA SCALA NORD SALITE LA SCALA NORD USCITE NEL PRATO SUL RETRO)

E funzionò. Cominciarono ad avviarsi in quella direzione. Come pecore che seguono l'ariete, o cavalli dietro uno stallone. Alcuni assimilavano i due concetti base

(MANTENERE LA CALMA MANTENERE LA CALMA)

(SCALA NORD SCALA NORD)

e li ritrasmettevano. Meglio ancora, Dinky sentiva l'esortazione provenire anche da sopra. Dai can-toi e dai taheen che guardavano dai ballatoi.

Nessuno correva e nessuno si lasciava prendere dal panico, ma intanto l'esodo dalla scala nord aveva avuto inizio.

 

9

 

Seduta sulla sua TGT, affacciata alla finestra del magazzino dove si era nascosta, ora Susannah non temeva più di essere vista. Almeno tre rilevatori di fumo avevano fatto scattare gli allarmi acustici. Un allarme antincendio mandava un segnale ondulatorio ancora più potente: era sicuramente quello di Casa Damli. Quasi a voler rispondere alle sue riflessioni, al chiasso generale si sovrapposero una serie di starnazzamenti elettronici provenienti dalla zona di Pleasantville. A essi si aggiunse una moltitudine di scampanii.

Con tutto quello che stava avvenendo a sud, era logico che la donna a nord del Devar-Toi vedesse solo la schiena dei tre gendarmi di sentinelle sulle torri rivestite di edera. Tre non erano molte, ma erano pur sempre il cinque per cento del totale. Un inizio.

Susannah puntò la canna del fucile e inquadrò uno dei tre gendarmi nel mirino. Pregò: Dio fai che la mia mira sia precisa... mira precisa...

Presto.

Sarebbe stato presto.

 

10

 

Finli agguantò il braccio del Capataz. Pimli se ne liberò con uno strattone e tornò verso casa, guardando incredulo il fumo che ora si sprigionava da tutte le finestre del lato sinistro.

«Capo!» gridò Finli afferrandolo di nuovo. «Lascia perdere, capo! E dei Frangitori che dobbiamo occuparci! IFrangitori!»

Il messaggio non andò a destinazione, ma l'effetto desiderato da Finli fu invece ottenuto dalla scioccante cacofonia dell'allarme antincendio di Casa Damli. Pimli ruotò su se stesso e per un momento il suo sguardo incrociò quello degli occhietti da uccello di Jakli. In essi non vide altro che panico, la qual cosa ebbe la perversa ma positiva conseguenza di far tornare Pimli in se stesso. Sirene e campane dappertutto. Tra gli altri anche un suono scandito di clacson che non aveva mai sentito prima. Veniva dalla direzione di Pleasantville?

«Presto, capo!» quasi lo scongiurò Finli o'Tego. «Dobbiamo vedere se i Frangitori sono al sicuro...»

«Fumo!» proruppe Jakli, agitando le ali nere (e del tutto inutili). «Fumo da Casa Damli, fumo da Feveral!»

Pimli non gli diede retta. Estrasse la Peacemaker dalla presa del portuale domandandosi per un istante quale premonizione lo avesse indotto ad armarsi. Non ne aveva idea, ma fu ben lieto del peso della pistola nella mano. Alle sue spalle, Tassa e Tammy sbraitavano, ma Pimli ignorò anche loro. Il cuore gli batteva furioso, ma lui era di nuovo calmo. Finli aveva ragione. Per prima cosa bisognava occuparsi dei Frangitori. Assicurarsi che i loro esperti sensitivi non venissero decimati dall'incendio provocato da qualche dannato guasto elettrico o sconclusionato atto di sabotaggio. Rivolse un cenno al suo capo della Sicurezza e insieme corsero verso Casa Damli, inseguiti da jakli che starnazzava e sbatacchiava le ali, simile a un profugo scappato da un cartone animato della Warner Bros. Dapprima sentirono Gaskie che urlava. Poi Pimli o'New Jersey udì un suono che lo raggelò fino alle ossa, un rapido Ciù!Ciù!Ciù! Spari! Se qualche pagliaccio si era messo a sparare ai suoi Frangitori, per gli dei, la testa di quel pagliaccio sarebbe finita infilzata su un palo prima della fine del giorno. Che il bersaglio dell'attacco fossero i gendarmi e non i Frangitori, fino a quel momento era un'ipotesi che ancora non era balenata alla sua mente e nemmeno a quella leggermente più scaltra di Finli. Troppo stava accadendo troppo in fretta.

 

11

 

All'estremità est del Devar, il suono di clacson sincopato era forte quasi abbastanza da spaccare i timpani. «Cristo!» ringhiò Eddie e non riuscì a sentire la propria voce.

Nelle torri a sud, i gendarmi erano girati dall'altra parte a guardare in direzione nord. Eddie ancora non vedeva tracce di fumo. Forse i gendarmi sì, in virtù della loro posizione più vantaggiosa.

Roland prese una spalla a Jake, poi gli indicò il vagone della SOO LINE. Jake annuì e vi strisciò sotto con Oy alle calcagna. Roland mostrò a Eddie entrambi i palmi - resta dove sei! - e seguì il ragazzo e il bimbolo. Dall'altra patte del vagone il ragazzo e il pistolero si alzarono, a fianco a fianco. Non fossero state distratte dai rilevatori di fumo e dagli allarmi antincendio, le sentinelle non avrebbero potuto mancare di vederli.

All'improvviso l'intera facciata della Pleasantville Hardware Company si abbassò scomparendo in una fessura nel terreno. Dalla rimessa ora spalancata uscì un'autopompa automatizzata, brillante di cromature e vernice vermiglia. Al centro della lunga fiancata pulsavano una serie di luci rosse e una voce amplificata tuonava: «FATE LARGO! QUESTA È LA SQUADRA ANTINCENDIO BRAVO! FATE LARGO! FATE LARGO ALLA SQUADRA ANTINCENDIO BRAVO!»

Non dovevano esserci sparatorie su quel lato del Devar, non ancora. Il versante sud del campo di prigionia doveva apparire come un luogo sicuro per i sempre più terrorizzati detenuti dell'Algul Siento: non temete, gente. Qui c'è il vostro rifugio dall'inattesa buriana che vi è piombata addosso.

Il pistolero prelevò un Riza dalle riserve ormai esigue di Jake e con la testa indicò al ragazzo di fare altrettanto. Indicò il gendarme sulla torre di destra, poi puntò di nuovo l'indice si Jake. Il ragazzo annuì, distese il braccio davanti al petto e aspettò che Roland gli desse il via.

 

12

 

Quando senti la sirena del cambio di turno, aveva detto Roland a Susannah, attacca. Fai più danni che puoi, ma che non vedano che ad attaccarli è una persona sola, per l'amore di tuo padre!

Come se fosse stato necessario ricordarglielo.

Avrebbe potuto eliminare i tre gendarmi mentre suonava la sirena, ma qualcosa la spinse ad attendere. Qualche secondo dopo fu contenta della sua decisione. La porta posteriore della Queen Anne si spalancò così violentemente da saltar via dal cardine superiore. In preda al panico, si riversarono fuori i Frangitori, ammucchiati l'uno sull'altro e sbracciando per farsi spazio (e questi sarebbero i presunti distruttori dell'universo, rifletté, questi pecoroni), e tra loro scorse una mezza dozzina di ibridi con la testa da animale e almeno quattro di quegli umanoidi inquietanti con la maschera sul volto.

Susannah abbatté per prima il gendarme sulla torre a ovest e la prima vittima della Battaglia di Algul Siento ancora non era precipitata oltre il parapetto finendo sul terreno con il cervello che usciva dai capelli colando per le guance, che stava già mirando alle due sentinelle della torre a est. La Coyote regolata sulla posizione centrale, sparò piccole scariche di tre colpi: Ciù! Ciù! Ciu!

Il taheen e l'uomo basso sulla torre a est rotearono l'uno verso l'altro come ballerini in una coreografia. Il taheen si accasciò sul ballatoio che circondava la cima della torre; l'uomo basso fu sospinto contro il parapetto, volteggiò oltre il muretto con gli stivali rivolti al cielo, poi precipitò a testa in giù. Susannah udì lo schianto del suo collo quando toccò terra.

Qualcuno nella baraonda dei Frangitori vide il volo dello sventurato e gridò.

«Alzate le mani!» Era Dinky, Susannah riconobbe la sua voce. «Mani in alto, se siete Frangitori!»

Non ci furono obiezioni: in quelle circostanze, chiunque parlasse nel tono di chi sa che cosa sta accadendo meritava cieca ubbidienza. Alcuni dei Frangitori, ma ancora non tutti, alzarono le braccia. Susannah però non ne aveva bisogno, non le serviva vedere le braccia alzate per distinguere le pecore dalle capre. Un'ispirazione sovrannaturale le aveva aperto occhi e mente.

Spostò l'interruttore dai colpi a ripetizione ai colpi singoli e cominciò a eliminare i gendarmi che erano usciti dallo Studio con i Frangitori. Taheen... can-toi, quello lì... umana, ma lei no, non le spari, lei è un Frangitore anche se non ha le mani alzate ... non chiedermi come lo so...

Susannah premette il grilletto della Coyote e la testa dell'umano vicino alla donna con i calzoni rosso vivo esplose in una nuvola di sangue e frammenti d'osso. I Frangitori strillavano come bambini, guardandosi intorno con gli occhi delle orbite e le braccia alzate. Susannah sentì di nuovo Dinky, solo che questa volta non era la sua voce organica. Udì la sua voce mentale ed era molto più potente:

(SE ANDATE A SUD CON LE MANI ALZATE, VIVRETE)

Era il segnale per il quale doveva abbandonare la postazione. Aveva liquidato otto dei cattivi del Re Rosso, includendo i tre della torre - non un risultato di cui vantarsi più che tanto, visto il panico generale - e almeno per il momento non ne vedeva altri.

Ruotò la manopola del gas e diresse la TGT verso uno degli altri capannoni abbandonati. Il veicolo fu così reattivo, che per poco non fu sbalzata dal sellino. Cercando di non ridere (ma ridendo lo stesso), urlò con quanto fiato aveva in corpo e nel suo migliore strillo da avvoltoio con la voce di Detta Walker:

«Via di qui, coglioni! Andate a sud! Mani in alto così non vi scambiamo per i cattivi! Tutti quelli che non hanno le mani alzate si beccano una palla in testa! Fateci conto!»

Infilò la porta del magazzino, sfregando un copertone della TGT contro lo stipite, ma non tanto forte da ribaltarsi. Grazie a Dio, perché non sarebbe mai riuscita a raddrizzarla da sola. In quel magazzino c'era uno dei laser già posizionato sulla sua forcella d'appoggio. Azionò l'interruttore con la scritta ON e, mentre si domandava se dovesse fare qualcos'altro con l'interruttore di INTERVALLO, la canna proiettò un accecante fascio di luce rossastro che sfrecciò sopra le tre file di recinzione e aprì uno squarcio all'ultimo piano di Casa Damli. Meglio non avrebbe potuto fare un colpo d'artiglieria ad alzo zero.

Ma bene, si compiacque. Allora andiamo a mettere in funzione gli altri.

Ma si chiese se ne avrebbe avuto il tempo. Altri Frangitori raccoglievano l'esortazione di Dinky e la ritrasmettevano amplificandola:

(A SUD! MANI ALZATE! VIVRETE!)

Per rendere più chiaro il concetto, Susannah portò la Coyote su FULL AUTO e sventagliò pallottole sul piano più alto del dormitorio più vicino. I proiettili fischiarono e rimbalzarono. Più di un vetro andò in frantumi. I Frangitori si lanciarono urlando dietro l'angolo di Casa Damli con le mani alzate. Da quella stessa parte Susannah vide sbucare Ted. Difficile non individuarlo, visto che procedeva contro corrente. Scambiò un rapido abbraccio con Dinky, poi entrambi alzarono le mani e si unirono al flusso dei Frangitori, che presto avrebbero perso il loro status di VIP per diventare una qualsiasi banda di profughi in lotta per sopravvivere in una landa buia e avvelenata.

Susannah ne aveva fatti fuori otto, ma non bastava. Era stata presa dalla fame, quella fame secca. I suoi occhi erano dappertutto. Pulsavano e dolevano e vedevano ogni cosa. E sperò che da dietro Casa Damli uscissero altri taheen, uomini bassi o gendarmi umani.

Ne voleva ancora.

 

13

 

Sheemie Ruiz abitava a Corbett Hall, proprio il dormitorio, sul quale, del tutto inconsapevole, Susannah aveva scaricato almeno un centinaio di proiettili. Se fosse stato a letto, quasi sicuramente Sheemie sarebbe morto. Era invece in ginocchio, ai piedi del letto, a pregare per la vita degli amici. Quando saltò in aria la finestra, non alzò nemmeno gli occhi e raddoppiò invece le sue invocazioni. Gli arrivavano i pensieri di Dinky

(SE ANDATE A SUD)

come colpi dentro la testa; poi altri pensieri vi confluirono come torrenti

(CON LE MANI ALZATE)

a formare un fiume. Infine si aggiunse la voce di Ted, non solo fondendosi con le altre, bensì amplificandole, trasformando quello che era stato un fiume

(VIVRETE)

in un oceano. Senza rendersene conto, Sheemie cambiò la preghiera. Padre nostro e proteggi i miei amici diventarono andate a sud con le mani alzate e vivrete. Non s'interruppe neppure quando con un boato spaventoso esplosero i serbatoi di propano dietro Casa Damli.

 

14

 

Gangli Tristum (quello che per voi è il dottor Gangli, diciamo grazie) era per molti versi l'uomo più temuto di Casa Damli. Era un can-toi che, con un tocco di perversione, aveva assunto un nome taheen invece che umano, e presiedeva l'infermeria al secondo piano dell'ala ovest dirigendola con un pugno di ferro. E su pattini a rotelle.

Quando gangli era in ufficio occupato in questioni amministrative o era fuori sede (di solito per visitare Frangitori che rimanevano al dormitorio perché raffreddati), l'atmosfera in corsia era abbastanza rilassata; ma quando appariva, gli era riservato da tutti - infermieri e inservienti e pazienti - il più rispettoso (e nervoso) dei silenzi. Un nuovo arrivato avrebbe forse riso la prima volta che avesse visto quell'essere-uomo tarchiato, scuro di pelle e con un vistoso doppio mento, schettinare lentamente per la corsia centrale fra i letti, con le braccia conserte sullo stetoscopio posato sul petto e le code del camice bianco che gli fluttuavano dietro (un Frangitore aveva commentato: «Sembra John Irving dopo un lifting fatto male.»). Chi però fosse stato sorpreso a ridere, non avrebbe riso mai più. Il dottor Gangli aveva una lingua tagliente come poche e nessuno poteva ridere impunemente dei suoi pattini a rotelle.

Ora, invece di procedere nell'usuale andatura compassata, sfrecciava di qua e di là, facendo rumoreggiare le rotelle d'acciaio sul parquet (usava schettini ben più antichi dei rollerblade). «Tutte le carte!» gridava a destra e a manca. «Mi sentite? Se perdo una sola cartella in questo casino di merda, una sola, dannatissima cartella clinica, mi mangio gli occhi di qualcuno per colazione!»

I pazienti naturalmente non c'erano già più; li aveva schiodati lui stesso dai letti e spinti giù per le scale al primo barrito di rilevatore, al primo filo di fumo. Molti degli inservienti - un branco di conigli e li conosceva a uno a uno, oh sì, e a tempo debito avrebbe presentato un rapporto completo - si erano involati con i pazienti, ma cinque erano rimasti, compreso Jack London, il suo assistente personale. Gangli era fiero di loro, sebbene nessuno avrebbe potuto intuirlo ascoltando il tono intimidatorio con cui urlava schettinando su e giù, su e giù, nel fumo sempre più denso.

«Prendete le carte, mi avete sentito? Meglio per voi, per tutti gli dei che abbiano mai camminato o strisciato! Meglio per voi!»

Un raggio rosso attraversò la finestra. Doveva essere un'arma, perché fece saltare in aria la vetrata che separava il suo ufficio dalla corsia e carbonizzò la sua poltrona preferita.

Gangli si raggomitolò e sfrecciò sui pattini sotto il raggio laser, senza mai rallentare.

«Pergan!» imprecò un inserviente. Era un umano, di straordinaria bruttezza, con gli occhi che gli sporgevano da una faccia bianca come un cencio. «Cosa diavolo è...»

«Fa niente!» abbaiò Gangli. «Fa niente che cos'era, coglione! Prendi le carte! Prendi le mie cazzo di carte!»

Da fuori (dal Mall?) giunse il fragore disordinato di un veicolo di pronto soccorso in arrivo. «FATE LARGO!» udì Gangli. «QUESTA È LA SQUADRA ANTINCENDIO BRAVO!»

Gangli non aveva mai sentito parlare di una cosa chiamata Squadra Antincendio Bravo, ma di quel posto molto non si sapeva. Diamine, lui stesso era capace di usare sì e no un terzo delle attrezzature della sala chirurgica! Fa niente, quello che contava soprattutto ora...

Prima di poter completare il pensiero, le bombole di gas dietro la cucina scoppiarono. Ci fu un boato terribile che sembrò salire da sotto e Gangli Tristum fu scagliato in aria con le rotelle dei suoi schettini che giravano vorticosamente. Decollarono anche gli altri e a un tratto l'aria densa di fumo si riempì di carte svolazzanti. Guardandole, sapendo che sarebbero bruciate e che solo grazie a un colpo di fortuna lui stesso non sarebbe bruciato con loro, un pensiero preciso si formò nella mente del dottor Gangli: la fine era arrivata in anticipo.

 

15

 

Roland sentì il comando telepatico

(SE ANDATE A SUD CON LE MANI ALZATE, VIVRETE)

cominciare a martellargli la mente. Era ora. Fece un cenno a Jake e gli Oriza partirono. Il loro sibilo misterioso era poca cosa nel clangore generale, eppure uno dei gendarmi doveva aver udito qualcosa, perché stava cominciando a girare su se stesso quando il bordo tagliente del piatto gli staccò la testa facendogliela precipitare all'indietro, con le ciglia che ancora tremavano in un'espressione di smarrimento e sorpresa. Il corpo decapitato avanzò di due passi, quindi crollò con le braccia oltre il parapetto, e dal collo si rovesciò fuori una cascata di sangue. L'altro gendarme era già stecchito.

Eddie rotolò agilmente sotto il carro della SOO LINE e appena giunto dall'altra parte balzò in piedi. Dalla rimessa precedentemente celata dalla facciata mobile, erano uscite di gran carriera altre due autopompe automatiche, Non avevano ruote e sembrava che si muovessero su cuscinetti di aria compressa. All'estremità nord del campus (così la mente di Eddie perseverava nell'identificare il Devar-Toi), esplose qualcosa. Bene. Splendido.

Con altri piatti presi dalla sacca, Roland e Jake aprirono un passaggio nei tre ordini di recinzione. Il reticolato elettrificato si aprì con un crepitio e un breve lampo azzurro. Entrarono. Muovendosi veloci e senza parlare, superarono ora le torri non più protette con Oy che trottava sulla scia di Jake. Raggiunsero un vicolo che separava l'Henry Graham Drug Store & Soda Fountain e il Pleasantville Book Store.

In fondo al vicolo guardarono fuori e videro che al momento la Main Street era deserta, sebbene, a peggiorare il tanfo generale, l'aria fosse ancora impregnata da un penetrante odore elettrico (odore da stazione della metropolitana, pensò Eddie). In lontananza continuava il coro distorto di sirene e rilevatori di fumo. Lì a Pleasantville, Eddie non poté fare a meno di pensare alla Main Street di Disneyland: niente rifiuti lungo i cordoli, niente scritte volgari sui muri, non un grano di polvere sulle vetrine. Quello era il luogo dove si recavano i Frangitori nostalgici quando avevano bisogno di respirare un po' d'aria d'America, evidentemente, ma possibile che nessuno di loro desiderasse qualcosa di meglio, qualcosa di più realistico, di quella fantasintetica natura morta? Forse sarebbe apparsa più accogliente con la gente per la strada e nei negozi, ma gli riusciva difficile crederlo. Chissà, forse il suo, era solo sciovinismo da ragazzo di città.

Di fronte a loro c'erano Pleasantville Shoe, Gay Paree Fashion, Hair Today e il cinema Gem (lo striscione della Kool-Aid appeso alla pensilina prometteva il fresco dell'aria condizionata). Con la mano, Roland fece cenno a Eddie e Jake di attraversare la strada. Era lì, se tutto fosse andato come speravano (non accadeva quasi mai), che avrebbero teso la loro imboscata. Corsero tenendosi bassi, Oy sempre alle calcagna di Jake. Fino a quel momento tutto era filato liscio e questo rendeva il pistolero più nervoso che mai.

 

16

 

Qualsiasi generale veterano di battaglie vi dirà che, anche negli scontri su piccola scala (come era quello), giunge sempre il momento in cui coerenza e filo narrativo si disfano e si perde il senso del susseguirsi degli avvenimenti. Questi elementi vengono ricostruiti più tardi dagli storici. Il bisogno di ricostruire il mito della coerenza può essere una delle ragioni principali per cui esiste la storia.

Fatto sta che noi abbiamo raggiunto quel punto, quello in cui la Battaglia di Algul Siento assunse vita propria, e la sola cosa che posso fare ora è descrivere questo e quell'altro episodio e sperare che voi sappiate creare il vostro ordine personale nel caos generale.

 

17

 

Trampas, l'uomo basso malato di eczema che involontariamente tante cose aveva rivelato a Ted, corse alla fiumana di Frangitori in fuga da Casa Damli e ne afferrò uno, uno sparuto e stempiato falegname di nome Birdie McCann.

«Che succede, Birdie?» gridò. Indossava in quel momento il suo «cappello pensante», perciò non poteva partecipare alla monta telepatica che lo avvolgeva. «Che cosa succede, sai...»

«Sparano!» urlò Birdie liberandosi. «Sparano! Sono laggiù!» Indicò un punto impreciso dietro di sé.

«Chi? Quanti?...»

«Attenti idioti che quella non rallenta!» sbraitò Gaskie o'Tego dietro di loro.

Trampas guardò e l'orrore gli ingigantì gli occhi quando vide la prima autopompa piombare rollando al centro del Mall in un grande lampeggiare di luci rosse, con due pompieri-robot d'acciaio ora appesi alle fiancate. Pimli, Finli e Jakli si fecero precipitosamente da parte. Si mise in salvo anche Tassa, l'attendente. Ma Tammy Kelly era ormai riversa nell'erba in una zuppa di sangue. Era stata spalmata dalla Squadra Antincendio Bravo che in verità non accorreva a contrastare un incendio da più di ottocento anni. La governante se ne andava con il suo bagaglio di petulanze.

E...

«FATE LARGO!» strepitò l'autopompa. E dietro alla prima, altre due sterzarono bruscamente passando dall'una e dall'altra parte della Casa del Capataz. Ancora una volta Tassa, l'attendente, si scostò appena in tempo per salvarsi la pelle. «QUESTA È LA SQUADRA ANTINCENDIO BRAVO!» Dalla scocca dell'autopompa spuntò uno strano nocchio metallico, che si aprì rivelando la testa di un diffusore dal quale partirono spruzzi ad alta pressione in otto direzioni diverse. «FATE LARGO ALLA SQUADRA ANTICENDIO BRAVO!»

E...

James Cagney - che si trovava in compagnia di Gaskie nell'atrio di Feveral Hall quando erano cominciati i guai, ricordate? - vide che cosa stava per succedere e cominciò a gridare ai gendarmi che uscivano barcollando dall'ala ovest di Damli con gli occhi rossi e la gola soffocata dal fumo, alcuni con i calzoni in fiamme, alcuni - oh, fossero lodati Gan e Bessa e tutti gli dei - con le loro armi.

Cag gridò loro di togliersi di mezzo e stentò a udire la propria voce in quella spaventosa cacofonia. Vide Joey Rastosovich acchiapparne due per tirarli via e il giovane Earnshaw spostarne un altro con una spallata. Tra accessi di tosse e lacrime, alcuni dei fuggiaschi videro l'autopompa in arrivo e si dispersero spontaneamente. Poi la Squadra Antincendio Bravo passò come il vomere di un aratro tra i gendarmi dell'ala ovest senza mai rallentare, puntando diretta su Casa Damli e sparando acqua a trecentosessanta gradi.

E...

«Dio Cristo, no», gemette Pimli Prentiss. Si nascose il volto nella mano. Finli invece non poté distogliere lo sguardo. Vide un uomo basso - Ben Alexander, ne era certo - maciullato dalle enormi ruote dell'autopompa. Ne vide un altro investito dalla griglia del radiatore e schiacciato contro la parete di Casa Damli dove l'autopompa andò a schiantarsi facendo volare assi di legno e vetri e quindi passando attraverso una paratia parzialmente nascosta da un'aiuola di fiori malaticci. Una ruota rotolò giù per le scale che andavano in cantina una voce sintetizzata cominciò a tuonare: «INCIDENTE! NOTIFICARE LA STAZIONE! INCIDENTE!»

Puoi dirlo forte, Sherlock, pensò Finli, contemplando il sangue sull'erba con un misto di malore e interesse. Quanti dei suoi uomini e dei suoi preziosi subalterni erano stati falciati da quella maledetta autopompa impazzita. Sei? Otto? Un plotone intero?

Da dietro Casa Damli giunse di nuovo quel terrificante Ciù!Ciù!Ciù!, la cadenza di armi automatiche.

Un Frangitore grasso di nome Waverly lo urtò. Finli lo agguantò prima che potesse prendere il largo. «Cosa è successo? Chi vi ha detto di andare a sud?» Finli, infatti, a differenza di Trampas, non portava nessun tipo di copricapo pensante e il messaggio

(SE ANDATE A SUD CON LE MANI ALZATE, VIVRETE)

gli bastonava la testa così forte e assordante che gli era praticamente impossibile pensare ad altro.

Pimli, che accanto a lui si affannava nel tentativo di riordinare le idee, entrò nel flusso di quel pensiero assillante e riuscì a formularne uno proprio: È quasi certamente Brautigan ad amplificare un concetto in questo modo. Chi altri ne sarebbe capace?

E...

Gaskie afferrò prima Cag, quindi Jakli, e gridò loro di raccogliere tutti i gendarmi armati e disporli lungo i fianchi dei frangitori che correvano a sud attraverso il Mall e per le vie che lo costeggiavano. Entrambi lo fissarono con uno sguardo vacuo - sguardo da panico - e per poco la frustrazione non strappò a Gaskie un urlo di furore cieco. In quel momento sopraggiunsero le altre due autopompe a sirene spiegate. La più grossa piombò sui Frangitori, stendendone due e passandoci sopra. Una delle due vittime era Joey Rastosovich. Dopo che l'autopompa fu transitata sferzando l'erba dalle bocche di aria compressa, Tanya cadde in ginocchio accanto al marito morente e levò le mani al cielo. Strillò a pieni polmoni, ma Gaskie non riuscì nemmeno a sentirla: gli luccicavano negli angoli degli occhi lacrime di impotenza e paura. Cani bastardi, pensava. Protervi cani bastardi!

E...

A nord di Algul, Susannah uscì allo scoperto diretta alla triplice recinzione. Non era nei piani, ma il bisogno di continuare a sparare, di continuare a falcidiarli, era più forte che mai. Non poté semplicemente resistere e Roland avrebbe capito. Inoltre il nuvolone di fumo che si alzava da Casa Damli aveva oscurato per il momento tutto quel lato del campo. I raggi rossi dei laser lo fendevano a intervalli regolari, come un'insegna al neon, e Susannah ricordò a se stessa di non attraversarli, se non voleva ritrovarsi con un foro largo cinque centimetri che la trapassava da parte a parte. Usò la Coyote per aprirsi un passaggio nel reticolato - una volta, due volte, tre volte - e scomparve nel fumo sempre più denso, ricaricando in corsa la mitraglietta.

E...

Il Frangitore di nome Waverly cercò di liberarsi da Finli. Nar, nar, nar, niente da fare, ti sia gradito, pensò Finli. Strattonò l'uomo che in una vita precedente all'Algul era stato un contabile o qualcosa del genere, tirandoselo più vicino, poi lo schiaffeggiò due volte in faccia, abbastanza forte da farsi male alla mano. Waverly gridò di dolore e sorpresa.

«Chi cazzo c'è laggiù!» ruggì Finli. «Chi cazzo sta facendo tutto questo!» Le due autopompe di rinforzo si erano fermate davanti a Casa Damli e sparavano acqua nel fumo. Finli non pensava che potesse servire a molto, ma di sicuro non erano di danno. E almeno quei cosi dannati non si erano schiantati nell'edificio che dovevano salvare come aveva fatto il primo.

«Non lo so, signore», singhiozzò Waverly. Gli colava sangue da una narice e dall'angolo della bocca. «Non lo so, ma devono essercene cinquanta, di quei diavoli, forse cento! È stato Dinky a farci uscire! Dio benedica Dinky Earnshaw!»

Intanto Gaskie o'Tego chiuse una mano di notevoli dimensioni intorno al collo di James Cagney e l'altra intorno a quello di Jakli. Non sapeva se quel bastardo scimunito di Jakli avesse avuto intenzione di darsela a gambe, ma non era quello che gli interessava in quel momento. Gli servivano tutti e due.

E...

«Capo!» gridò Finli. «Capo, prenda il giovane Earnshaw! Qui qualcosa puzza!»

E...

Con la faccia di Cag schiacciata contro una guancia e quella di Jakli schiacciata contro l'altra, Gaskie riuscì finalmente a farsi sentire e ripeté il suo ordine: dividete i gendarmi e affiancateli ai Frangitori in fuga. «Non cercate di fermarli, ma restate con loro! E per l'amor del cielo, evitate che finiscano folgorati! Se superano Main Street, teneteli lontani da...»

Ma prima che potesse finire il suo ammonimento, dalla coltre di fumo sbucò una sagoma in corsa. Era Gangli, il medico del campo, con il camice in fiamme e i pattini a rotelle ancora ai piedi.

E...

Tossendo, Susannah Dean prese posizione all'angolo posteriore sinistro di Casa Damli. Vide tre di quei figli di puttana: erano Gaski, Jakli e Cagney, ma lei non poteva saperlo. Prima che potesse prendere la mira, scomparvero dietro una cortina di fumo in movimento. Quando il fumo si fu diradato, Jakli e Cag non c'erano più. Erano andati a riorganizzare i gendarmi perché fungessero da cani pastori, con cui, se proprio non fosse stato possibile fermare immediatamente l'orda in preda al panico, tentare almeno di proteggerla. Gaskie c'era ancora e Susannah lo uccise con un colpo preciso alla testa.

Pimli non lo vide. Gli stava diventando chiaro che tutta quella confusione era superficiale. Quasi sicuramente voluta. La decisione dei Frangitori di allontanarsi dagli aggressori a nord dell'Algul era giunta un po' troppo velocemente e la migrazione avveniva in maniera un po' troppo organizzata.

Altro che Earnshaw, pensò. È con Brautigan che voglio parlare.

Ma prima che potesse trovare Ted, fu stretto in un abbraccio soffocante e frenetico da Tassa, che farneticò che la Casa del Capataz era a fuoco, lui aveva paura, una paura tremenda, tutti i vestiti e i libri del Capataz...

Pimli Prentiss lo spedì lungo e disteso con un cazzotto a una tempia. Nella testa gli pulsava all'impazzata il pensiero collettivo dei Frangitori (mente cattiva ora invece di buona mente)

(CON LE MANI ALZATE VIVRETE)

con il rischio di spegnergli il lume della ragione. Era stato quel cane di Brautigan, lo sapeva, e ora era troppo lontano... a meno che...

Pimli guardò la Peacemaker che aveva nella mano, rifletté, poi la ripose bruscamente nella presa del portuale sotto l'ascella sinistra. Voleva quel bastardo di Brautigan vivo. Quel bastardo di Brautigan aveva da dargli qualche spiegazione. Per non parlare di un certo lavoretto di rottura che doveva portare a termine.

Ciù!Ciù!Ciù! Pallottole che sfrecciavano da una parte e dall'altra. Gendarmi, taheen e can-toi che correvano da una parte e dall'altra. E, dannazione, solo pochi di loro erano armati, più che altro gli umani che erano stati in servizio di pattuglia lungo i recinti. Quelli a guardia dei Frangitori in realtà non avevano bisogno di essere armati, giacché i detenuti erano più mansueti di uno stormo di pappagallini e la prospettiva di un attacco dall'esterno era sembrata inverosimile finché...

Finché non era successo, pensò e in quel mentre scorse Trampas.

«Trampas!» tuonò. «Trampas! Ehi, cowboy! Prendi Earnshaw e portamelo qui! Prendi Earnshaw!»

Lì, al centro del Mall, c'era un po' meno frastuono, e Trampas sentì benissimo la richiesta di sai Prentiss. Ricorse Dinky e lo ghermì per un braccio.

E...

Daneeka Rostov, undici anni, uscì dal nuvolone di fumo che ora oscurava per intero la metà inferiore di Casa Damli, tirandosi dietro due carretti rossi. Aveva il viso infiammato e gonfio; piangeva disperata; era quasi piegata in due per lo sforzo con cui trainava Baj sul carretto della Radio Flyer, e Sej, che viaggiava sull'altro. Entrambi avevano la testa enorme e gli occhi minuscoli e vivi di savi idrocefali, ma Sej agitava due mozziconi di braccia, mentre Baj non aveva arti superiori da agitare. Entrambi schiumavano dalla bocca ed emettevano rochi versi di soffocamento.

«Aiutatemi!» riuscì a implorare Dani tossendo più che mai. «Aiuto! Qualcuno mi aiuti prima che il fumo li uccida!»

Dinky la vide e deviò verso di lei. Trampas lo trattenne, ma era chiaro il suo disagio. «No, Dinky», disse. Il suo tono era dispiaciuto ma fermo. «Lascia che ci pensi qualcun altro. Il capo vuole parlare...»

Fu allora che ricomparve Brautigan, pallido in volto, le labbra compresse in una linea sottile. «Lascialo andare, Trampas. Sai che provo affetto per te, ma oggi è meglio che ti tieni fuori dalle nostre faccende.»

«Ted? Cosa...»

Dinky cercò di nuovo di dirigersi verso Dani. Trampas lo tirò di nuovo indietro. Poco lontano da loro, Baj perse i sensi e cadde a testa in giù dal suo carretto. Nonostante l'erba soffice, la sua testa fece un orribile rumore di frattura, e Dani Rostov strillò.

Dinky si protese verso di lei. Trampas lo strattonò ancora una volta, con energia. Contemporaneamente estrasse dalla propria presa del portuale la sua Colt Woodsman 38.

Non c'era più tempo per ragionare con lui. Ted Brautigan non aveva più scagliato la lancia mentale dopo l'unica volta in cui l'aveva usata contro il borsaiolo di Akron, nel 1935; non l'aveva usata nemmeno quando gli uomini bassi lo avevano fatto di nuovo prigioniero a Bridgeport, Connecticut, nel 1960, nonostante l'irresistibile tentazione. Aveva giurato a se stesso che non l'avrebbe usata mai più e certamente non aveva nessun desiderio di scagliarla contro

(sorridi quando lo dici)

Trampas, che lo aveva sempre trattato così bene. Ma doveva arrivare al limite sud del campo prima che fosse ristabilito l'ordine e intendeva portare con sé Dinky.

E poi era infuriato. Povero piccolo Baj, che non lesinava mai un sorriso!

Si concentrò e uno strappo doloroso gli attraversò il cervello. La lancia mentale volò. Trampas lasciò andare Dinky e rivolse a Ted uno sguardo di incredulo rimprovero che il vecchio avrebbe ricordato fino all'ultimo giorno di vita. Poi Trampas si afferrò la testa come se colpito dalla più terrificante emicrania dell'universo e stramazzò morto nell'erba con la gola gonfia e la lingua fuori.

«Vieni!» esclamò Ted afferrando Dinky per un braccio. Grazie a Dio, in quel momento Prentiss guardava altrove, distratto da un'altra esplosione.

«Ma Dani... Sej!»

«Può pensarci da sola!» il resto della frase gliela inviò mentalmente:

(ora che non ha più da trainare anche Baj)

Ted e Dinky presero il volo mentre Pimli Prentiss si girava, sgranava gli occhi alla vista di Trampas e urlava loro di fermarsi: che si fermassero nel nome del Re Rosso.

Finli o'Tego sfoderò la pistola, ma prima che potesse fare fuoco, gli fu addosso Daneeka Rostov, a graffi e morsi. Era poco più che un fuscello, ma Finli fu così sorpreso da quell'aggressione assolutamente inaspettata, che per poco la bambina non riuscì a stenderlo. Le cinse il collo con il forte braccio peloso e la scaraventò lontano, ma ormai Ted e Dinky erano quasi fuori portata: stavano tagliando sul lato sinistro della Casa del Capataz e stavano scomparendo nel fumo.

Finli impugnò la pistola con entrambe le mai, prese fiato, lo trattenne e premette il grilletto una sola volta. Uno spruzzo di sangue volò dal braccio del vecchio; Finli lo sentì gridare e lo vide vacillare. Poi il giovane cucciolo agganciò per la vita l'anziano randagio e insieme svanirono dietro l'angolo.

«Verrò a prenderti!» urlò loro Finli. «E quando vi avrò presi, vi farò desiderare di non essere mai nati!» Ma la minaccia suonò orribilmente vacua alle sue stesse orecchie.

Ora era in movimento verso sud, come una marea, l'intera popolazione di Algul Siento: Frangitori, taheen, gendarmi, can-toi con il marchio color sangue che brillava come un terzo occhio sulla loro fronte. E Finli vide qualcosa che non gli piacque per niente: i Frangitori e solo i Frangitori fuggivano in quella direzione braccia alzate. Se là in fondo erano appostati altri masnadieri, non avrebbero avuto difficoltà a distinguere su chi sparare, giusto?

E...

Nella sua stanza al secondo piano di Corbett Hall, sempre in ginocchio ai piedi del letto coperto di cocci di vetro, tossendo per il fumo che entrava dalla finestra infranta, Sheemie Ruiz ebbe la sua rivelazione... o, se preferite, ascoltò la voce della sua fervida immaginazione. Quale che fosse, balzò in piedi. I suoi occhi, di solito benevoli ma sempre confusi da un mondo che non riusciva a capire appieno, erano limpidi e colmi di gioia.

«IL VETTORE DICE GRAZIE!» gridò nella stanza vuota.

Si guardò intorno, felice come Ebenezer Scrooge che scopre che gli spiriti hanno fatto tutto in una sola notte, e corse alla porta calpestando frammenti di vetro. Un coccio tagliente gli forò un piede - portandogli la morte sulla punta, se solo l'avesse saputo, diciamo amen, diciamo Discordia - ma nell'euforia non se ne accorse. Uscì in corridoio e si lanciò giù per le scale.

Al piana inferiore, s'imbatté in una donna anziana, una Frangitrice di nome Belle O'Rourke. La scosse violentemente tenendola per le spalle. «IL VETTORE DICE GRAZIE!» urlò alla donna stordita e disorientata. «IL VETTORE DICE CHE FORSE È SALVO. NON È TROPPO TARDI! GIUSTO IN TEMPO!»

Corse fuori a diffondere la bella notizia (bella per lui, in ogni caso), e...

In Main Street, Roland guardò prima Eddie Dean, poi Jake Chambers. «Stanno arrivando ed è qui che dobbiamo fermarli. Aspettate il mio ordine, poi che battaglia sia e che sia valorosa.»

 

18

 

Apparvero dapprima tre Frangitori che correvano a rotta di collo a braccia levate. Attraversarono così Main Street, senza accorgersi di Eddie, che era nel botteghino del Gem (aveva fracassato i vetri su tutti e tre i lati con l'impugnatura di sandalo della pistola che era stata di Roland), o di Jake (seduto a bordo di una Ford privata del motore davanti al Bake Shoppe), o di Roland stesso (dietro un manichino nella vetrina di Gay Paree Fashions).

Arrivati sul marciapiede opposto si guardarono intorno disorientati.

Andate, pensò verso di loro Roland. Andate via, prendete il vicolo. Allontanatevi finché siete in tempo.

«Venite!» gridò uno dei tre e insieme imboccarono di corsa il vicolo tra il drug store e la libreria. Ne arrivò un altro, poi altri due, e in coda il primo dei gendarmi, un umano con la pistola alzata all'altezza degli occhi sbarrati per la paura. Roland prese la mira... ma si trattenne.

Altri agenti di custodia si riversarono in Main Street sbucando dalle vie secondarie. Roland li vide separarsi: come aveva sperato e previsto, cercavano di disporsi ai fianchi dei detenuti per incanalarli e impedire che la ritirata si trasformasse in rotta.

«Formate due file!» gridava, sfiatato e sibilante, un taheen con la testa di corvo. «Formate due file e tenetevi nel mezzo, per l'amore dei vostri padri1.»

«E il recinto, Jakli?» lo apostrofò un can-toi con i capelli rossi e la camicia fuori dei calzoni. «E se finiscono contro il recinto?»

«Non possiamo farci niente, Cag, possiamo solo...»

Strillando come un indemoniato, un Frangitore cercò di sorpassare il corvo prima che avesse finito la frase e il taheen, Jakli, gli sferrò uno spintone così violento da farlo ruzzolare in mezzo alla strada. «Restate assieme, larve!» abbaiò. «Correte pure, ma con un cazzo di minimo di ordine!» Come se potesse mai esserci ordine in una migrazione come quella, pensò Roland (e non senza soddisfazione). Poi, a quello rosso di capelli, quello che si chiamava Jakli, urlò: «Dopo che saranno andati arrosto i primi due o tre, gli altri capiranno e si fermeranno!»

Se Eddie o Jake avessero cominciato a sparare in quel momento, la situazione si sarebbe molto complicata, ma entrambi rispettarono le consegne. I tre pistoleri guardarono dai loro nascondigli il formarsi di una specie di ordine. Arrivarono altri gendarmi. Jakli e quello dai capelli rossi le organizzarono su due file a formare un ampio corridoio centrale che andava da un lato all'altro della strada. Qualche Frangitore passò prima che il corridoio fosse formato del tutto, ma in numero modesto.

Apparve un nuovo taheen, con la testa di donnola, e sostituì al comando delle operazioni quello di nome Jakli. Menò personalmente un paio di colpi alla schiena di due Frangitori in corsa, come a esortarli ad accelerare il passo.

Dal lato sud di Main Street giunse un grido di sgomento: «Il recinto è tagliato!» Poi un altro: «Credo che i gendarmi siano morti!» Quest'ultimo annuncio fu seguito da un urlo di orrore e Roland diede per certo che un Frangitore sventurato avesse appena trovato nell'erba la testa mozzata di una sentinella.

Il terrorizzato vociare che seguì non si era ancora spento quando Dinky Earnshaw e Ted Brautigan apparvero tra la panetteria e il negozio di scarpe, così vicini al nascondiglio di Jake, che il giovane pistolero avrebbe potuto toccarli se solo avesse allungato la mano fuori del finestrino. Ted era ferito. La manica destra era rossa dal gomito in giù, però il vecchio riusciva a camminare veloce seppure con il sostegno di Dinky che lo cingeva per la vita. Mentre correva sorretto dall'amico tra le ali di gendarmi, per un attimo Ted guardò direttamente il nascondiglio di Roland. Poi entrò con Earnshaw nel vicolo e scomparve.

Almeno per il momento erano al sicuro e andava bene così. Ma il pezzo grosso che fine aveva fatto? Dov'era Prentiss, il comandante di quel luogo odioso? Roland voleva lui e con lui voleva anche il taheen-sai con la testa da donnola: se mozzi la testa al serpente, il serpente muore. Ma non potevano aspettare ancora molto. Il flusso dei Frangitori in fuga si andava assottigliando. Il pistolero non riteneva che sai Donnola avrebbe atteso i ritardatari; la sua principale preoccupazione era impedire che il suo prezioso contingente scappasse attraverso i recinti squarciati. Sapeva che non sarebbero andati lontano in una campagna sterile e buia come quella, ma sapeva anche che se c'erano attaccanti a nord del campo, potevano esserci soccorritori appostati a...

Ed eccolo, grazie agli dei e a Gan, ecco sai Pimli Prentiss, trafelato e sfiatato, e chiaramente in stato di choc, con la pistola nella presa del portuale che gli ballava avanti e indietro sotto il braccio carnoso. Gli sgorgava sangue da una narice e dall'angolo di un occhio, come se la sovraeccitazione gli avesse provocato qualche lesione dentro la testa. Si diresse verso la Donnola, dondolando leggermente - fu in quell'andatura da ubriaco che Roland avrebbe in seguito riconosciuto con amarezza la causa dell'esito finale di quella mattina probabilmente con l'intenzione di assumere il comando. Il breve ma fervido abbraccio con cui si scambiarono conforto rivelò a Roland tutto quello che aveva bisogno di sapere sulla profondità dell'amicizia che correva tra i due.

Spianò la pistola puntandola alla nuca di Prentiss, premette il grilletto e guardò volare sangue e capelli. Capataz Prentiss spalancò le braccia, distese le dita divaricate contro il cielo buio e stramazzò quasi ai piedi della Donnola impietrita.

Come se la sua morte fosse stato un segnale, il sole atomico si accese in quel momento inondando il mondo di luce.

«Hile, pistoleri, uccideteli tutti!» tuonò Roland sventagliando con la mano destra il cane di quella antica macchina omicida che era la sua rivoltella. Quattro caddero sotto i suoi colpi prima che i gendarmi, allineati come papere di coccio a un tiro a segno, avessero avuto il tempo, nemmeno di reagire, ma anche solo di sentire gli spari. «Per Gilead, per New York, per il Vettore, per i vostri padri! Uditemi, uditemi! Che non ne resti in piedi uno solo! UCCIDETELI TUTTI!»

E così fecero: il pistolero giunto da Gilead, l'ex tossico di Brooklyn, il ragazzino solitario che un tempo la signora Greta Shaw chiamava 'Bama. Sopraggiungendo da sud alle loro spalle, bucando strati di fumo sempre più densi a bordo della sua TGT (deviando dalla propria traiettoria una sola volta, per girare intorno ai resti schiacciati di un'altra governante, quella che si chiamava Tammy), c'era un quarto giustiziere: colei che un tempo era stata addestrata alle tecniche della protesta non violenta dai giovani attivisti dell'Associazione Nazionale per il Progresso della Popolazione di Colore e che ora abbracciava, pienamente e senza rimpianti, la legge del fucile. Susannah stese tre gendarmi ritardatari e un taheen in fuga. Il taheen aveva una carabina in spalla ma non cercò neppure di usarla. Alzò invece le magre braccia pelose - aveva un testa vagamente orsesca - e invocò misericordia, offrendo la resa. Memore di tutto quello che era avvenuto in quel posto, non ultimo il martirio di tutti i bambini il cui cervello spappolato era stato dato in pasto agli assassini del Vettore perché potessero continuare a operare al massimo dell'efficienza, Susannah non gli accordò né l'una né l'altra, seppure evitandogli motivo di sofferenza o tempo per temere il suo destino.

Ora che ebbe percorso per intero il vicolo tra il cinematografo e il salone di bellezza, la sparatoria era finita. Finli e Jakli stavano morendo; James Cagney era morto con la maschera umana strappata dalla ributtante testa di topo; intorno a loro giacevano un'altra trentina di gendarmi. I marciapiedi prima immacolati di Pleasantville fiottavano del loro sangue.

C'erano ovviamente altri gendarmi in giro, ma ormai si erano affrettate a mettersi al riparo, convinte di essere state attaccate da cento o più combattenti veterani, pirati terrestri di Dio solo sa dove. La maggior parte dei Frangitori dell'Algul Siento erano nella zona erbosa dietro Main Street e davanti alle torri del lato sud, dove attendevano a ranghi serrati da quelle pecore che erano. Nonostante la ferita al braccio, Ted si stava già occupando di loro.

Poi all'imboccatura del vicolo di fianco al cinema apparve l'intera armata di masnadieri: una donna di colore con le gambe scorciate sulla sella di un ATV. Manovrava con una mano il manubrio sul quale teneva appoggiata la canna di una Coyote. Contemplò i corpi ammonticchiati nella strada e annui con tetra soddisfazione.

Dal botteghino uscì Eddie che andò ad abbracciarla.

«Ehi, zuccherino, ehi...» mormorò lei, coprendogli il collo di baci e facendolo fremere. Poi uscì Jake, pallido dopo la mattanza, ma composto, e Susannah gli cinse le spalle e lo attirò a sé. Il suo sguardo si posò su Roland, fermo sul marciapiede dietro ai tre che aveva tratto nel Medio-Mondo. Teneva il braccio sinistro disteso lungo il fianco, la pistola penzoloni accanto alla coscia, e chissà se si rendeva conto dell'espressione smaniosa che aveva disegnata sul viso? Chissà se sapeva quale sentimento tradivano i suoi occhi? Susannah ne dubitava e il suo cuore si riempì di affetto e comprensione.

«Vieni qui, Gilead», lo esortò. «Questo è un abbraccio di gruppo e tu fai parte del gruppo.»

Per un momento ebbe l'impressione che lui non avesse capito, o fingesse di non capire. Poi Roland si avvicinò, sostando a riporre la pistola e a raccogliere Oy. Si fermò tra Jake e Eddie. Oy saltò in grembo a Susannah come se fosse la cosa più naturale del mondo. Poi il pistolero fece scivolare un braccio attorno alla vita di Eddie e l'altro intorno a quella di Jake. Susannah si protese (il bimbolo zampettò comicamente per non scivolare sul suo grembo improvvisamente inclinato), chiuse le braccia intorno al collo di Roland e gli stampò un bacio impetuoso sulla fronte abbronzata. Jake e Eddie risero. E Roland sorrise come facciamo tutti quando veniamo colti di sorpresa dalla felicità.

Ve li voglio mostrare così; voglio che li vediate molto bene. D'accordo? Sono riuniti intorno alla Gran Turismo di Suzie, si abbracciano in celebrazione della vittoria. Ve li faccio vedere così non perché abbiamo vinto una grande battaglia - non uno di loro è così ingenuo da pensarlo - ma perché ora sono ka-tet per l'ultima volta. La storia della loro fratellanza finisce qui, su questa Main Street posticcia e sotto questo sole artificiale; il resto della storia sarà breve e brutale in confronto di tutto quello che è accaduto prima. Perché quando il ka-tet si spezza, la fine giunge sempre veloce.

Diciamo dispiacere.

 

19

 

Dagli occhi morenti e incrostati di sangue, Pimli Prentiss guardò il più giovane dei due uomini staccarsi dall'abbraccio collettivo e avvicinarsi a Finli o'Tego. Il giovane vide che Finli si muoveva ancora e si abbassò su un ginocchio al suo fianco. La donna, ora scesa dal triciclo a motore, e il ragazzo cominciarono a controllare le altre vittime e a elargire colpi di grazia a chi ancora non era spirato. Sebbene in fine di vita e con una pallottola in testa, Pimli capiva che era un gesto di misericordia e non crudeltà. E quando avessero finito nella Main Street, sicuramente avrebbero raggiunto il resto dei loro maramaldi compagni per il rastrellamento finale degli edifici dell'Algul ancora in piedi, a caccia degli ultimi gendarmi, e senza dubbio avrebbero freddato seduta stante tutte quelle che avessero trovato. Non saranno molte, miei vili amici, pensò. Avete sterminato due terzi dei miei uomini questa strada. E quanti degli aggressori avevano ucciso in cambio il Capataz Pimli, il capo della Sicurezza Finli e i loro uomini? Per quel che ne sapeva lui, non uno.

Ma forse poteva ancora rimediare. La sua mano destra cominciò il lento e doloroso viaggio verso la presa del portuale e la Peacemaker infilata nella fondina.

Frattanto Eddie posò sulla tempia della Donnola la canna della rivoltella di Gilead con il calcio di legno di sandalo. Il suo dito si stava contraendo sul grilletto, quando vide che la Donnola, sebbene sanguinasse copiosamente dalla ferita al petto e fosse chiaramente sulla soglia della morte, lo fissava con occhi perfettamente lucidi. E qualcos'altro ancora vide Eddie, qualcosa che non gli piacque affatto. Pensò che fosse disprezzo. Alzò la testa, vide Susannah e Jake che controllavano i caduti sul lato est della via, vide Roland sul marciapiede opposto, intento a parlare a Dinky e Ted mentre applicava un bendaggio di fortuna sul braccio di quest'ultimo. I due ex Frangitori lo ascoltavano con attenzione e, sebbene entrambi dubbiosi, annuivano alle sue parole.

Eddie riportò l'attenzione sul taheen morente. «Sei alla fine del tuo sentiero, amico mio», gli disse. «Con una pallottola nella pompa. Mi sembra. Hai qualcosa da dire prima di entrare nella radura?»

Finli annuì. «Parla, allora. Ma sii breve se vuoi arrivare fino in fondo.»

«Tu e i tuoi siete un branco di cani vigliacchi», ansimò Finli. Era stato probabilmente davvero ferito al cuore, così sentiva, ma quelle erano parole che andavano dette e spronò il cuore spezzato a battere ancora per il tempo che gli serviva. Poi sarebbe morto arrendendosi volentieri alle tenebre. «Cani vigliacchi puzzolenti di piscio, capaci solo di aggressioni sleali. Tanto ho da dire.»

Eddie gli rispose con un sorriso amaro. «E che cosa devo dire io di cani vigliacchi che hanno usato dei bambini per uccidere il mondo intero a tradimento, amico mio? L'universo intero?»

La Donnola sbatté le palpebre, come se colto in contro piede. Forse non si attendeva nessuna risposta. «Avevo... i miei ordini.»

«Non ne dubito», ribatté Eddie. «E li hai eseguiti fino alla fine. Goditi l'inferno o il Na'ar o comunque lo chiami tu.» Posò di nuovo la pistola alla tempia di Finli e schiacciò il grilletto. La Donnola sussultò una sola volta e poi più. Eddie si rialzò in piedi con una smorfia.